Basta alzare lo sguardo dalle incertezze e dalla precarietà della nostra non esaltante cronaca politica di questi giorni per accorgersi che quanto accade nel mondo sembra appartenere ad un’altra realtà.

Tra i grandi processi in atto del tempo che viviamo, e che domani saranno studiati come impronte della storia dei nostri giorni, uno dei più rilevanti è certamente quello dei rapporti tra America e Cina, le due super potenze globali che si contendono l’egemonia politica, economica e culturale del mondo.

Il libro del professor Graham Allison, docente emerito ad Harvard e consigliere a Washington dai tempi di Reagan sino ad Obama: “Destinati alla guerra” (Fazi Editore, 2018) è certamente tra le analisi più autorevoli e per certi versi inquietanti. Una prima sintesi è tutta nel suo sottotitolo: “Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”.

Per affrontare il problema della crescente ostilità tra le due super potenze, Allison parte infatti dalla rivalità che sconvolse la Grecia dal V Secolo a.C. tra Sparta, città-stato potenza di terra, e Atene l’altra città -stato egemone politicamente e dominante sul mare. Il loro antagonismo, le gelosie e la competizione insieme ai timori per la reciproca sicurezza portarono infatti a una sanguinosa guerra a seguito di una banale scintilla: un conflitto locale tra città minori loro alleate il cui esito non avrebbe comunque avuto conseguenze né per Sparta né per Atene. E Tucidide, il grande storico dell’epoca che visse questo conflitto, conclude le sue cronache asserendo che quando una potenza in ascesa minaccia di spodestarne un’altra, lo scontro violento che segue è la regola e non l’eccezione.

Da qui, la “trappola di Tucidide” che l’autore conferma descrivendo ben sedici altri scenari della storia degli ultimi cinquecento anni, dodici dei quali conclusi con il conflitto armato e solo quattro evitando la guerra.

Tra i più significativi e cruenti quelli degli Asburgo contro la Francia; dell’Impero Ottomano contro la Spagna e l’Occidente; del Regno Unito contro la Francia; di Cina e Russia contro il Giappone, fino alle due ultime guerre mondiali.

Tra quelli risolti senza conflitti le “guerre fredde” tra Spagna e Portogallo; tra Regno Unito e Stati Uniti fino all’ultima tra Stati Uniti e Occidente da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra.

 “Tutti sanno della crescita cinese, ma sono in pochi ad averne compreso la grandezza o le conseguenze” scrive l’autore. Dopo il marxismo agrario di Mao e la rapida marcia verso il mercato di Deng Xiaoping la crescita del colosso asiatico era già destinata a mutare gli equilibri mondiali. Oggi con Xi Jinping le proporzioni sono già cambiate e l’economia del suo immenso Paese marcia su settori avanzati, dalle nuove tecnologie alle  grandi reti di traffici, dalla formazione permanente  all’industria spaziale. E così attrae investimenti, progetta colossali vie di comunicazione, si assicura materie prime in Africa, è già all’avanguardia nell’informatica. Le grandi direttrici sono due: la ricerca di legami con l’Europa e la decisa penetrazione nell’area del Pacifico, anche con spregiudicatezza per quanto riguarda il Mar Cinese Meridionale dove l’espansione di Pechino non bada a limiti, anche a costo di smantellare il diritto del mare sancito dai protocolli della Giamaica o gli accordi sanciti dall’ONU come a Hong Kong.

Per fortuna sfuggire dalla trappola di Tucidide non è solo una possibilità teorica” scrive verso le conclusioni Allison, ed elenca ragionando una serie di indizi per la pace citando il vecchio e saggio Henry Kissinger secondo il quale “naturalmente la storia non è una raccolta di ricette già collaudate”.  Tra questi indizi, ricavati dalle osservazioni sui casi esaminati vi è la possibilità che una autorità superiore possa contribuire a sciogliere le rivalità; quella che gli Stati siano inglobati in istituzioni economiche, politiche e difensive più grandi in grado di limitare i comportamenti; la capacità di veri statisti di distinguere tra bisogni ed esigenze; la crescente forte interdipendenza economica; la consapevolezza che oggi la guerra nucleare non si può vincere.

Anche il capitolo delle conclusioni è incoraggiante: la guerra è evitabile quando le grandi potenze sanno individuare con chiarezza gli interessi vitali e quando vi è la capacità di comprendere quali sono i veri obiettivi della potenza rivale. Singolare nelle ultime pagine una fulminante considerazione che già avanzava Neil Ferguson nel suo famoso saggio del 2011 (“Occidente”, Mondadori) chiedendosi se il progresso della Cina potrà continuare senza l’emersione di una istituzione che è stata fondamentale nel generare la prosperità del mondo occidentale: i diritti di proprietà privata. Per analogia oggi potremmo aggiungere l’altra grande istituzione affermatasi in occidente: i diritti civili.

Guido Puccio

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