Una campagna mondiale di sensibilizzazione per un pianeta in futuro privo di armi nucleari, che non sono «fantasmi della storia» e «la riapertura di dialoghi di fiducia con la volontà politica di cambiare», primi passi verso un mondo libero da guerre e distruzioni. È quanto hanno chiesto alla classe politica, in una dichiarazione congiunta in occasione del 75° anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer, presidente della commissione Iustitia e Pax della Conferenza episcopale tedesca, e il pastore Renke Brahms, membro della Commissione per la pace del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd).

Ricordando le devastanti deflagrazioni che il 6 e 9 agosto 1945 distrussero le due metropoli giapponesi, con oltre 250 mila morti, vittime «di una guerra senza speranza e dell’inferno del nucleare» con emissioni radioattive ancora presenti sul suolo e nell’atmosfera, nella dichiarazione si ribadisce come «il primo e significativo segno dovrebbe essere l’accettazione e la ratifica del Trattato di non proliferazione nucleare delle Nazioni Unite anche da parte della Germania». Guardare al passato, sottolineano i firmatari del documento, «è un avvertimento per noi nel presente e per il futuro» e ciò è particolarmente vero in un momento in cui si sperimenta la «fatale deregolamentazione degli accordi internazionali sulle armi nucleari». Una tendenza che porta a inevitabili preoccupazioni, poiché si assiste alla pratica «di modernizzare i sistemi di armi nucleari esistenti al fine di mantenerli operativi o adattarli ai mutevoli scenari di minaccia»: attualmente nel mondo esistono ancora sedicimila testate «che stanno acquisendo un’importanza strategica sempre maggiore», si evidenzia nella nota che sottolinea come ad esse si siano aggiunti anche nuovi pericoli come la guerra cibernetica, il terrorismo e i conflitti commerciali.

Il ricorso al nucleare non come energia sfruttabile per il progresso dell’umanità ma come arma di distruzione di massa è pertanto eticamente ingiustificabile, immorale e un crimine contro le persone e la loro dignità, stigmatizza la dichiarazione ricordando le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione della visita a Hiroshima durante il viaggio apostolico in Giappone nel novembre scorso. Qui, in questa terra, ancora si fa fatica a riprendersi dall’altro grave disastro nucleare, quello avvenuto nella centrale di Fukushima l’11 marzo 2011, il quale ha causato uno tsunami in grado di sommergere centinaia di chilometri quadrati di terreno, uccidendo, secondo alcune stime, più di ventimila persone e costringendone centoventimila all’evacuazione. E anche in tale occasione le Chiese cristiane non hanno fatto mancare il loro apporto con forum organizzati nel Paese del Sol levante al fine di sensibilizzare politica e società sulla necessità di mettere al bando le centrali nucleari. In uno di essi, svoltosi qualche mese fa, il pastore della United Church of Christ in Japan, Naoya Kawakami, segretario generale della Rete di soccorso dell’Alleanza cristiana di Sendai, “Touhoku Help”, ha raccontato le drammatiche conseguenze dell’esplosione: «Ho fatto più di 700 visite e incontrato oltre 180 madri e circa venti padri, che hanno riscontrato anomalie nei loro figli dal 2011. A oltre 273 bambini è stato diagnosticato il cancro alla tiroide e molte madri sono in profonda ansia. Il nostro ruolo — ha proseguito Kawakami — è testimoniare. I pastori che sono rimasti a Fukushima con i sopravvissuti senza voce ci stanno mostrando la Chiesa come corpo della risurrezione di Gesù, con tante ferite e debolezza. Coloro che soffrono restano di solito in una silenziosa agonia e la maggior parte delle persone non li ascolta mai».

Occorrono più di centomila anni per la scomparsa pressoché totale delle scorie radioattive, ha spiegato in quell’occasione un sacerdote della Nippon Sei Ko Kai, la Comunione anglicana in Giappone. «Solo questo dovrebbe bastare — ha osservato — per motivare l’abolizione delle centrali nucleari. L’insistenza sul loro riavvio sembra solo legata a ottenere sempre più denaro e profitti. Come cristiani, e per vivere come esseri umani, non possiamo però permetterci di ignorare il problema ma adoperarci ogni giorno per risolverlo».

 

Pubblicato da L’Osservatore Romano ( CLICCA QUI )

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