C’è stato un momento nella storia nel quale si è potuto credere che una infinita possibilità di connessioni e di scambi di informazioni offrisse l’opportunità di diventare delle persone veramente libere.
Correva l’anno 1984 e, durantelo spazio pubblicitario più ambito in America, quello trasmesso all’inizio del Super Bowl, veniva annunciato dalla Apple l’imminente commercializzazione del computer Macintosh. Meno di dieci anni prima, nel 1976, Sidney Lumet aveva diretto Quinto potere, sconcertando il mondo con la denuncia nel celebre monologo di Howard Beale della manipolazione occulta posta in essere attraverso il mezzo televisivo. A partire da quella sera però tutto questo sarebbe cambiato.
Il dominio orwelliano posto in essere fino ad allora dal mezzo televisivo, sarebbe stato infranto e, attraverso la
libertà concessa dalla diffusione dei personal computer, ciascuno sarebbe potuto diventare il nodo di una rete infinita di connessioni e di scambi di informazioni. Il 1984 non sarebbe stato come Nineteen eighty- four.
Contrariamente alle aspettative, l’euforia iniziale si sarebbe col tempo trasformata in una cocente disillusione e il realizzarsi della utopia delle I.C.T. avrebbe finito con il produrre una originale forma di distopia basata sull’eccesso di libertà.
Le opportunità illimitate che l’agorà digitale invitava a sognare, sembrano essersi rovesciate in forme di controllo e sorveglianza inedite quanto pervasive che il filosofo coreano Byung-Chul Han chiama dittatura della trasparenza.
Nei suoi scritti (in particolare Nello Sciame. Visione del digitale, 2013, e Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nove tecniche del potere, 2014), Han delinea i contorni della nuova forma di potere psicopolitico, che non si impone attraverso l’oppressione e la sottomissione, ma piuttosto invita il cittadino ad esprimersi, a comunicare e a condividere: a mettersi completamente a nudo di propria spontanea volontà.
In contrapposizione al potere disciplinare che in modo doloroso quanto spesso inefficace cercava di affermarsi attraverso obblighi e divieti, questo nuovo potere intelligente seduce e gratifica la volontà delle persone, ssecondando le loro richieste e ascoltando le loro opinioni.
Nella profusione di like che accompagna ogni espressione egotica, il potere intelligente legge e interpreta, memorizza e cataloga i nostri pensieri consci e inconsci e li usa per alimentare il suo profitto. L’assuefazione alle soddisfazioni è la cifra del suo dominio, la riduzione della vita umana a un quantified self la sua merce di scambio.
Per il cittadino che oggi difficilmente si percepisce come sorvegliato o addirittura minacciato, viste le condizioni di assoluta libertà percepita maneggiando uno smartphone, le fosche visioni di Han possono sembrare allarmismi eccessivi.
Che i colossi dell’e- commerce possono acquistare e avvalersi dei nostri profili elaborati sulle piattaforme di social media per indirizzare la loro pubblicità, declina ancora una paradossale opportunità. Meno sentita sembra essere la
preoccupazione che l’immensa mole di informazioni raccolte possa poi essere interconnessa in modo da produrre profili estremamente precisi dell’elettorato. Attraverso tecniche di microtarg eting è già possibile rivolgersi ai potenziali votanti in modo mirato con messaggi rsonalizzati adattati, tailored su misura delle speranze, delle ambizioni e delle paure del cittadino. In questo modo non si elabora semplicementeuna nuova strategia di
comunicazione e di marketing politico, ma si depaupera il discorso pubblico degli argomenti concreti legati alle policies da realizzare, alimentando le campagne elettorali solo della spettacolarizzazione del confronto emotivo.
Ma per gli apologeti della utopia digitale siamo ancora agli inizi della nuova era.
Luca Mencacci
Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano il 27 novembre 2019. Il settimo di una serie dal titolo ” Per una democrazia inclusiva”