Domenica 29 marzo andremo a votare per il referendum costituzionale. Speriamo di essere in tanti nei seggi, ma in ogni caso, com’è noto, non c’è quorum e quindi la sera stessa avremo un’idea del risultato di quello che si presenta come un importante passaggio politico.
Il quesito che ci troveremo sulla scheda sarà il seguente: “«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?».
La mia personale risposta al quesito – così come credo quella della stragrande maggioranza dei lettori di politicainsieme – sarà un forte e convinto NO. Secondo tutti gli osservatori, invece, la maggior parte dei votanti si esprimerà per il SI. Mi preparo quindi ad una mesta tarda serata domenicale, davanti alle “lunghe” televisive con gli ospiti in sala e in collegamento.
Detto questo, non può sfuggire il valore della partita politica che si gioca il 29 marzo e l’importanza dei numeri che Mentana, Vespa & co ci mostreranno sugli schermi TV.
Nel Paese è sempre più evidente non solo un’ insofferenza e addirittura un disgusto per l’agitazione grillina (che ha portato milioni di ex elettori di quel movimento alla scelta di abbandonarlo al suo destino), ma anche – più sotterraneamente – una preoccupazione per le sorti dell’economia del Paese, la cui fragilità viene sempre più messa in collegamento con l’inadeguatezza della classe di governo tutta e con la straordinaria incompetenza espressa – in questi anni – in modo particolare dal ceto politico 5 stelle.
Saranno capaci questi generici sentimenti di compiere – il 29 marzo – il salto quantico che li trasformi in massiccia e lucida presa d’atto della fine di una intera stagione politica di depistaggio del Paese dal cammino ordinario della democrazia verso la deriva rancorosa e carica di aggressività dell’“antipolitica”? La notte del 29 avremo la misura di questo difficile percorso di rinsavimento e di recupero della sovranità nazionale.
Per ora non ci resta che concentrare le nostre energie nel paziente lavoro di dialogo con i nostri amici o familiari che purtroppo sono caduti in una delle tante trappole semplificatrici di questi anni e che – pur in perfetta buona fede – credono alle favole horror sul Parlamento popolato da vagabondi parassiti, a null’altro utile che a stipendiare 945 (altrimenti) disoccupati.
Questo, sul piano della vita privata.
Ma la sfida culturale che Politica Insieme dovrebbe raccogliere in questa occasione è anche quella di ricucire una storia nazionale dell’antipolitica. Poiché se oggi ci ritroviamo con (quasi) l’intero schieramento politico intimidito e incapace di esprimere a viso aperto una posizione di ragionevolezza, un motivo ci sarà. Se oggi viene aggredita la principale espressione della sovranità popolare senza che nessuno riesca ad ergersi “in difesa della Costituzione”, laddove ieri – per molto meno – abbiamo visto scendere in piazza milioni di ispirati difensori, un motivo ci sarà.
Quali sono gli incunaboli dell’antipolitica italiana? E’ una domanda che oggi è necessario porre.
L’”Uomo qualunque” di Giannini, certo! Ma anche la sguaiata denuncia del “poltronismo”, tanto cara ad Almirante e rimasta intatta fino ai nostri giorni. Ma poi come dimenticare i forti umori antipolitici di tutto il ’68 (forse i più insidiosi e tuttora nascosti perché coccolati da folte schiere di raffinatissimi intellettuali), la polemica contro la partitocrazia di Pannella, il primo Grillo – vezzeggiato in RAI e ai festival dell’Unità – l’apoteosi di Tangentopoli, ben espressa nella sua lingua naturale, l’italiano in versione “dipietrista”? E, ancora qualche anno prima, come sottovalutare – in questa prospettiva di ricostruzione storica – il ruolo avuto dalla predicazione (per sua stessa natura antipolitica) della “questione morale” dell’ultimo Berlinguer che paralizzò gran parte della sinistra italiana in un frangente difficilissimo della vita nazionale conducendola definitivamente sul binario morto su cui ancora staziona e da cui certo non la toglierà né il radicalismo di massa né la sterile agitazione sui “diritti civili”? E come trascurare il fenomeno Berlusconi e il suo mix di suggestioni modernizzatrici e accarezzamento dei vecchissimi umori antipolitici?
Insomma i 5 stelle non vengono fuori dal nulla e il colpo violento che sarà inferto (almeno secondo le previsioni) alla democrazia e alla sovranità popolare il prossimo 29 marzo merita non solo il nostro impegno a scongiurarlo, ma anche a riflettere, a spiegarci e a spiegarne le origini.
Enrico Seta