L’ autonomia cui pensiamo come fattore distintivo della rinnovata presenza politica dei cattolici nel nostro Paese, prima che quale dato di schieramento, va posta nei termini di una cultura politica che rifiuti due logiche che muovono da presupposti antitetici, eppure convergenti sul piano degli esiti cui conducono.
Da una parte, infatti, viene esaltato il cosiddetto “uomo del fare” – una sorta di casereccio Stakanov dei tempi nuovi – come paradigma di un approccio empirico che si declina e si risolve immediatamente nella prassi. In sostanza, quello spiccio ed affaccendato, troppo indaffarato per darsi pensiero, convinto che le cose non siano poi così controverse come appaiono, per cui, prese di petto, cedono ad una generosa dose di attivismo e di buona volontà.
Dall’altra, si impone l’approccio di carattere “ideologico”, cioè la pretesa di aver messo in luce e, dunque, possedere una sorta di “legge del tutto” che, di per sé, sa dar conto degli sviluppi della storia, cosicchè ne possiamo derivare meccanicamente un indirizzo infallibile e sicuro anche per il nostro domani.
L’uno e l’altro modello perdono il contatto con la realtà delle cose.
Il primo perché non va oltre una lettura di superficie che prescinde da una comprensione del cuore degli eventi e, quindi, vi corrisponde in modo perlomeno approssimativo ed episodico. Il secondo perché cede ad una concezione idealistica che antepone i costrutti del “pensiero” e, quindi, una soggettiva interpretazione preformata, secondo una certa propensione intellettuale, alla percezione dell’ essere della realtà nella sua effettiva consistenza.
Certo, ogni percezione non esiste allo stato puro e di per sé “interpreta”, ma c’è modo e modo. Quel che conta è la capacità di rifarsi ad un sano realismo, l’attitudine, cioè, ad apprendere induttivamente dall’esperienza, senza imbragarla nei presupposti rigidi di una ideologia concepita una volta per tutte, senza sorvolarla distrattamente come se nulla fosse, perché, infine, tutto poi si piega alla volontà dell’ homo faber.
Questa modalità “realistica” che tende ad una valutazione quanto più possibile oggettiva, ad un tempo attenta e prudente, mai unilaterale, sempre aperta a quanto di nuovo irrompe dagli eventi in cui siamo immersi; questa indagine analitica che tende asintoticamente alla “verità’” dei processi, se mai si possa osare un tale riferimento in quel regno dell’opinabile che è la politica, allude forse – declinata appunto sul piano politico – a ciò che convenzionalmente chiamiamo “centro” o “moderazione”, restituendo a questi termini, oggi scivolosi e potenzialmente equivoci, il quarto di nobiltà che pur storicamente vantavano.
Se poi s’intende passare dall’analisi, da questa ricognizione conoscitiva competente, all’azione è necessario giungere ad una sintesi ed il passo non è facile, né scontato. Fare “sintesi” significa tenere insieme e comporre; soprattutto, cogliere il punto in cui le bacchette del ventaglio convergono e si tengono così da potersi aprire fino al limite estremo della divaricazione loro consentita, ma senza scomporsi.
In altri termini, è necessario decidersi per un valore ultimo e fondativo che sorregga una visione e che questa, a sua volta, esprima un principio, un orientamento, un criterio che, riflettendosi sull’insieme delle determinazioni da assumere nei vari campi dell’azione politica, conferisca a quest’ultima quel tanto di organicità ancora possibile nel contesto civile di un mondo post-moderno talmente plurale e segmentato.
Viviamo un tempo ormai lontano da quella pretesa di razionalità compiuta cui aspirava la modernità. Assistiamo, quasi da spettatori, all’ “accadere” di sviluppi accelerati e spesso scomposti, tali da trascendere le nostre facoltà di indirizzo, così da apparire frutto degli automatismi di una forza anonima, mossi da una causalità multifattoriale, incerta ed indecifrabile.
Un po’ come se, anche sul piano delle scienze umane e storiche, stessimo passando dalla fisica classica a quella del processi non lineari. Cosicché, oggi convivono due sentimenti contrastanti: l’orgogliosa presunzione di onnipotenza della scienza e, per contro, lo smarrimento di chi si sente in balia di forze numinose ed ineluttabili.
In sostanza, quanto più sono articolate e tra loro differenziate le questioni che la politica è chiamata ad affrontare, tanto più quel principio direttivo comune, che le può consentire di riportarle a sintesi e governarle, va individuato in profondità.
E poiché deve assumere determinazioni che toccano – ad esempio, dal nascere al morire, dalle manipolazioni genetiche ai temi dell’identità sessuale – profili esistenziali che, a loro volta, hanno a che vedere addirittura con le domande irrinunciabili circa la nostra origine, la nostra identità profonda, lo scopo della vita, la nostra destinazione ultima, la politica oggi non può evitare di ripensare i suoi passi, muovendo dalle radici intime e fondative di una cultura, cioe’ da una vera e propria “rifondazione antropologica”. E questo vale per tutti, qualunque sia l’orientamento di fondo.
Siamo, in tal senso, dentro una stagione della storia di straordinario interesse, al punto che, vivendola dal di dentro, non riusciamo a coglierne tutta la portata. Una stagione che ci costringe a ripensare, a ripartire da una consapevolezza nuova e più avvertita del valore originario, incondizionato ed irriducibile dell’uomo e della vita. Ed è, in definitiva, qui che possono e devono convergere, almeno nel nostro campo, “quelli dell’etica” e “quelli del sociale”, nella consapevolezza che non si difende la vita se non si promuove la libertà.
Né si promuove quest’ultima e, con essa, la democrazia e la giustizia sociale se non si riconosce quella sacralità della vita su cui, in ultima Istanza, si reggono. Del resto, la questione è tutta politica, se abbiamo bisogno di costruire una nuova “polis” che sia all’ altezza delle sfide e delle provocazioni del tempo che ci è dato vivere. Insomma, oggi – perfino più  di quanto non fosse ieri – una forza politica è effettivamente tale, solo se si pone come espressione e concreta declinazione storica di una visione espressamente dichiarata.
In questo senso, la nostra autonomia fa tutt’uno con l’ispirazione cristiana cui ci riferiamo.
Domenico Galbiati

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