Sono trascorsi appena quattro anni, sebbene sembri una mezza era geologica, dalla penultima consultazione referendaria concernente “il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari … la soppressione del CNEL …”, esito non confermativo approvato dal Parlamento e pubblicato su G. U. del 15/4/2016.
Val la pena ricordare che il popolo italiano disapprovò a larga misura (poco meno del 60%) quella, abborracciata riforma, disordinata e del tutto squilibrata a vantaggio del Governo, sottoscritta ad iniziativa governativa Renzi-Boschi.
Il primo ne avrebbe subìto notevoli, nefaste conseguenze dopo averla simboleggiata a mò di plebiscito per sé e la
propria immagine, della qual cosa appare ancora prigioniero. Prendiamo atto del fatto che il sistema parlamentare nostrano resta caratterizzato – nonostante l’esito favorevole dell’ultimo referendum costituzionale, tanto voluto dal M5S – dal c.d. bicameralismo perfetto che ha caratteristiche alquanto deleterie, ben note agli addetti ai lavori parlamentari, quali:
a) minore incisività delle proposte di legge d’iniziativa dei deputati rispetto ai d.d.l. governativi,
b) lentezza e farraginosità dell’iter legislativo che destano motivi di apprensione e “stress” in sede di conversione in legge della decretazione d’urgenza e di approvazione della legge della manovra finanziaria, di anno in anno,
c) costi complessivi molto alti, nonostante i tagli operati sugli “assegni vitalizi”, a fronte di una “produttività” non eccellente e di un assenteismo spesso considerevole.
A proposito delle spese fisse a carico del bilancio dello Stato restano ben salde quelle riguardanti la struttura ed il personale  del CNEL, del quale non s’è più deciso per la relativa soppressione: da tempo ormai immemorabile esso vivacchia, sopravvive inopinatamente senza conoscere il proprio destino che rimane “in mente dei” o forse, peggio, in piena “sine cura”, politicamente parlando.
Facendo un passo indietro è giusto il caso di ricordare che il CNEL è un “organo ausiliario”, previsto nel Titolo III, Rapporti economici, preposto cioè a prestare consulenza tanto al Parlamento quanto al Governo, secondo quanto sancito dalle disposizioni costituzionali di cui all’art. 99: il comma 1 ne introduce la composizione, mentre il c. 2
prevede che “la legge della Repubblica” debba attribuire ad esso le specifiche funzioni di consulenza legislativa; ed ancora il comma 3 soggiunge, quanto alle competenze, che al CNEL spetta l’iniziativa legislativa ed il potere di “contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale…”.
Or dunque, non occorre esser giuristi particolarmente navigati o fini per elaborare una sintesi concettuale, utile a segnalare al decisore politico-istituzionale, sia esso potere legislativo, sia potere esecutivo, la necessità di rendere finalmente operativo e funzionale un organismo che, evidentemente, ha acquisito nel corso di decenni un patrimonio culturale di esperienze di studio, di ricerca, di convegnistica, editoriali, analisi dei mercati e sociologiche, attraverso la compartecipazione e la collaborazione delle associazioni produttive e di categoria, dei sindacati maggiormente rappresentativi, del mondo accademico, delle fondazioni parapolitiche e dell’associazionismo più qualificato.
Chiunque abbia buon senso (o piuttosto senso dello Stato), senza dover essere un aquila sotto il profilo del diritto costituzionale o parlamentare, né quello economico-finannziario – con riferimento all’entità degli oneri che gravano sulla spesa pubblica per la gestione del CNEL – non può non domandarsi, ad un certo momento, per quale,
incomprensibile ragione un organismo di rilievo costituzionale, recentemente riaffermato nella propria esistenza, istituzionale e sistemica, in virtù di un voto popolare, non debba funzionare a pieno regime, secondo i dettami della Costituzione repubblicana.
Questa affermazione vale tanto più oggidì, in una fase storica straordinariamente critica come quella attuale, martoriata da un virus tanto difficile da debellare e circoscrivere, che sta sconvolgendo oltre alla salute pubblica la gran parte dei tessuti economici, vitali del ns Paese con pesantissime ripercussioni sotto l’aspetto sociale. A mio modesto avviso, sarebbe perciò corretto, anzi doveroso giuridicamente e eticamente restituire alla Costituzione la propria assoluta valenza, quella concreta funzione di fonte primaria dell’ordinamento italiano, in modo che le Camere ed il Governo della nazione si avvalgano appropriatamente delle funzioni consultive e di proposta/ elaborazione dell’iniziativa legislativa del CNEL, tanto più in queste ore in cui si discetta da destra a sinistra, da un’istituzione all’altra, sull’opportunità di istituire una sorta di “super-commissione” in cui sarà davvero auspicabile che si riesca a favorire un costruttivo, sereno confronto politico tra le forze delle opposizioni e quelle della maggioranza per il bene primario degli italiani.
Quale migliore occasione, in fondo, per affidare, in vista della “concessione” del Recovery fund da parte delle istituzioni comunitarie (di cui s’è già detto in un precedente intervento, a proposito delle assurde lungaggini), ad un soggetto dotato dei requisiti di terzietà e di indipendenza, il compito del coordinamento di un progetto tecnico-legislativo a carattere economico per un Piano di rilancio e modernizzazione del sistema produttivo, dei trasporti, delle comunicazione e del “green”?
Auguriamoci che questi, legittimi dubbi, alquanto fondati, con annesse idee riformatrici, possano sorgere anche nella formazione della volontà politica della nostra “beneamata” classe dirigente.
Michele Marino

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