Cosa ci aspetteremmo dai genitori dei “figli di…” quando sbagliano (se sbagliano)? Di sicuro ci aspetteremmo dai genitori illustri dei figli che sbagliano (se sbagliano), di accettare le regole che valgono per tutti i cittadini normali e le famiglie normali. Cioè che siano soggetti alla legge, che credano alla forza della giustizia, che confidino nel diritto costituzionale garantito alla difesa e che soprattutto non abusino del proprio ruolo pubblico e della propria popolarità. Perciò non possiamo condividere e giustificare la clamorosa esternazione di Beppe Grillo, intervenuto via social per difendere il figlio Ciro accusato dello stupro, insieme con tre amici, ai danni di una coetanea diciannovenne. Teatro della presunta violenza, un’abitazione di proprietà del comico, in Costa Smeralda.

Questa volta il popolare comico, fondatore e leader dei cinquestelle, ha fatto un uso personale dei social che rasenta l’abuso. Un tentativo, il suo, di insinuare il dubbio e di condizionare il magistrato chiamato a decidere sull’eventuale rinvio a giudizio di suo figlio e dei suoi tre amici, sulla base di una convinzione che ha voluto esternare senza pudore: la consensualità della ragazza. Parole sue: “Quattro ragazzi che si divertivano…”. Sorvoliamo sui toni perché Grillo grida sempre, sia nei suoi spettacoli sia quando ad ascoltarlo è la platea dei suoi eletti che oggi calcano le aule parlamentari o gli studi dei talk show televisivi. Ma la consensualità, no… Possibile che non si renda conto dell’enormità delle sue parole? Quattro ragazzi attorno a una ragazza indotta a ubriacarsi, ormai fuori controllo e priva di difese? Quella difesa legittima, invece, di cui certamente e giustamente si sono avvalsi suo figlio e gli altri ragazzi, in attesa delle decisioni del magistrato inquirente.

Mai parole si sono rivelate così prive di pietà. Non una sola parola di compatimento o di solidarietà per quella ragazza che, se pur consenziente in un primo momento, potrebbe aver maledetto mille e mille volte, l’aver accettato un invito che l’ha portata a vivere un’esperienza intollerabile di promiscuità sessuale con quattro ragazzi per un’intera notte. Un’esperienza tragica che può rimanerle cucita addosso per tutta la vita e perseguitarla per il resto dei suoi giorni.

Ecco, facciamo fatica a condividere i sentimenti di Grillo come padre. Una vicenda del genere, siamo sicuri, mozza il fiato e toglie la parola. Se anche si fosse trattato di un rapporto consensuale (ma sinceramente ne dubitiamo), come non inorridire dinanzi a una pratica sessuale di gruppo con una ragazza al centro? Come è possibile non riconoscerla come una vittima? Da genitori ci saremmo vergognati per i nostri figli e mai avremmo potuto affermare che “si stavano divertendo…”.

Dopo aver visto Grillo all’opera, il pensiero è andato a un altro padre famoso: Paolo Genovese, il cui figlio è stato condannato per aver ucciso, investendole con la sua auto, due ragazze a Roma. Il regista romano non ha mai pronunciato una parola fuori posto. Ha lasciato, pur nell’immenso dolore di vedere un figlio protagonista di una vicenda terribile, che la parola fosse quella dei suoi avvocati. Dimostrando, così, il rispetto dovuto al dolore delle altre due famiglie orribilmente colpite. Ecco, magari si dirà che in quel caso si trattava di due giovani donne morte.

Ma un’esperienza drammatica come quella di una violenza sessuale di gruppo (se confermata), non è forse una condizione di pre-morte?  Che merita, forse esige, il silenzio? E se quella povera ragazza fosse morta quella notte, oggi Grillo cosa avrebbe il coraggio di dire? Ma poi ci chiediamo: le donne devono morire o essere stuprate per ottenere e meritare la nostra solidarietà attiva?

Forse ci sarebbe da compatire anche Grillo perché di sicuro ha perso la testa e ha fatto un grave passo falso nel tentativo maldestro di difendere di suo figlio, ma forse lui non lo merita… E non perché si chiami Grillo e sia un leader politico, ma perché un padre non può essere cieco e sordo.

Domenico Delle Foglie

Pubblicato su www.formiche.net

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