Si riparte da Sergio Mattarella. Un vero sospiro di sollievo è stato tirato dagli italiani nel momento in cui il Presidente della Repubblica si è ancora una volta messo a disposizione, nonostante fosse sua intenzione lasciare il proprio incarico, anche per valutazioni d’ordine costituzionale, e poco restio ad assumere un ruolo “salvifico”.
Il respiro di sollievo giunge nonostante sia confermato tutto quello che da tempo denunciamo sulla fine di un sistema politico deteriorato dalla mentalità bipolare, dal leaderismo, dall’anteporre i ragionamenti sullo schieramento a quelli sui contenuti programmatici. Quelli che, a nostro avviso, devono essere diretti a superare le diseguaglianze, a ricomporre il tessuto sociale, a preoccuparsi dell’impoverimento complessivo del Paese, dei giovani, degli anziani, delle famiglie e del Mezzogiorno.
La crisi dell’intero sistema politico ha tante cause e tanti responsabili. Anche chi si dice impegnato in politica sulla base di un’ispirazione cristiana è costretto a misurarsi per la quota di responsabilità assunta sul piano personale e su quello dello schieramento in cui si ritrova. Spesso, in funzione esclusivamente gregaria.
I cattolici che sono nella Lega, e più in generale nel centrodestra, si vorranno porre alcune questioni? A partire da quella di partecipare ad un simulacro posticcio che ha continuato a dirci, nonostante ogni evidenza, di rappresentare un’entità unita e coesa. Il quesito merita di essere rivolto specificamente all’Udc che insiste nel credere in un centrodestra nel frattempo dichiarato defunto dagli stessi suoi principali leader. E così pure quanti continuano a restare nell’area del Pd, in forme più o meno ad alta intensità di coinvolgimento, anch’essi partecipi di un manicheismo servito solamente a fare il male del Paese e senza neppure veder ripagato sul piano sociale un impegno degno di miglior causa.
Il ritorno a Sergio Mattarella, a ben guardare oltre i gravi errori di tattica e di strategia commessi negli ultimi giorni da tutti i leader di tutti i partiti, che cosa ci dice se non che l’Italia ha bisogno di altro. Ha bisogno cioè di ragionevolezza, ascolto, inclusione e competenza.
Perché non sia vana l’esperienza appena vissuta, che ci ha pure fatto assistere alla presentazioni di candidature davvero al di fuori di ogni tradizione e logica istituzionale, è necessaria l’emersione di un’attitudine originale che punti alla creazione di una larga area interessata ad avviare autentici processi di trasformazione del Paese. Questi debbono partire da un intervento sul sistema di formazione del gruppo dirigente politico che dev’essere in larga parte rinnovato. Ogni cittadino dovrebbe ripartire da sé stesso, senza rilasciare cambiali in bianco a partiti e leader che hanno abbondantemente dimostrato i loro modesti livelli di capacità di guida e, soprattutto, di preveggenza.
Un primo passaggio non può che essere quello di puntare alla definizione di una legge proporzionale in grado di smuovere il consesso civile, quello della cultura, delle professioni e delle competenze con l’obiettivo di portare in Parlamento e alla guida delle Istituzioni una serie di “facce nuove” liberate da tutto quanto di sbagliato è stato inoculato nel sangue vitale del Paese nel corso di un trentennio caratterizzato da lotte per bande contrapposte, dal dare libero corso ad interessi parziali, alla formazione di veri e propri partiti “esteri” interessati solamente alla svendita dei nostri beni comuni e a creare quei presupposti perché le decisioni cruciali che c’interessano siano prese esclusivamente a conclusione di un democratico processo largamente partecipato di analisi, valutazioni e decisioni e non sulla base di compromessi verticistici e senza prospettiva.
Oggi l’Italia ha il dovere di ricercare dei veri “patrioti”. Quelli che sono tali perché mettono in cima ai propri pensieri il Bene comune e non una limitativa acquiescenza alle tante consorterie che provano ad impadronirsi di ciò che è rimasto ancora di sostanziale del patrimonio nazionale.
Anche i popolari e i cattolici democratici devono avvertire quanto questo sia il momento dell’agire autonomo e d’impegno per la costruzione di un diverso progetto di crescita e di sviluppo da proporre a tutti gli italiani. Un processo destinato ad essere tanto più largo quanto verrà partecipato con generosità e gratuità e non certamente solo per trovare uno strapuntino su cui sedere in Parlamento, indipendentemente da chi lo offre e dalle condizioni a cui lo offre. In molti casi, almeno è quello che abbiamo visto accadere finora, al prezzo del silenzio e dell’autocastrazione.
Come dimostrano le prime reazioni leghiste in merito al futuro assetto di Governo, ci si deve attendere che tanta energia repressa sia destinata comunque a riemergere fino a quando le future elezioni politiche generali non porteranno all’apertura di una vera ed effettiva nuova fase.
E dunque la vera questione ruota attorno alla possibilità che tutti noi, ma certamente la cosa è richiesta per primi ai partiti, ci s’impegni a superare il disfacimento del sistema politico istituzionale costretto a ricorrere a figure “salvifiche” per trovare punti d’equilibrio altrimenti indisponibili. Ma un paese come l’Italia non può più continuare così.