Il pluralismo che il mondo cattolico ha maturato sul piano politico, e che va pur sempre considerato una ricchezza, compare anche laddove le questioni in campo hanno anzitutto, ed eminentemente, un rilievo di carattere etico ed antropologico, che solo, in seconda istanza, si manifesta anche sul piano dell’indicazione politica.

Lo si può verificare pure in questi giorni, ad esempio, considerando le prese di posizione o gli interrogativi, le analisi, la studiata ricerca di ragionate argomentazioni che, da più parti, si vanno accumulando, in vista del passaggio parlamentare del prossimo mese di febbraio, in ordine al tema del cosiddetto “fine-vita” e segnatamente circa il PdL che concerne la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio.

Non c’è da sorprendersi, tanto meno nulla di cui scandalizzarsi, se il comune riferimento al Magistero della Chiesa e, contestualmente, al dettato della Carta Costituzionale, dia luogo ad una differenza, o perfino ad una certa divaricazione di atteggiamenti, attorno a tematiche che pur sono tutt’altro che di secondario rilievo, anzi fondamentali anche dal punto di vista dottrinale. Preme, piuttosto, comprendere se questa articolazione interna al
novero dei credenti produca mattoni adatti a costruire muri o, al contrario, possa essere orientata verso aperture e
varchi di confronto.

In fondo, la comunità ecclesiale, nel segno della fede comune, rappresenta l’ ambito ideale doverosamente chiamato a promuovere percorsi di reciproca verifica, secondo quel particolare versante della carità cristiana rappresentato dalla sua dimensione intellettuale. Ne potrebbe derivare una “fratellanza” di pensiero, se così si può dire, capace di attrarre e cristallizzare uno spazio di riflessioni condivise, che non è escluso possa estendersi anche oltre i confini della comunità confessionale. Purché i credenti, anzitutto, sappiano segnalare valori, fatti non per essere declamati, bensì vissuti e, sulla scorta di tale testimonianza, siano in grado di trovare gesti, nuovi linguaggi, meditate ragioni che mostrino come i criteri di vita che desumono dal dono della fede siano intrisi di valore umano, ricchi di importanti suggestioni anche sul piano degli indirizzi da offrire alla vita civile del Paese. E, dunque, come tali comprensibili e condivisibili, accettabili o addirittura accattivanti anche per chi proviene da altri indirizzi culturali di fondo. Senza che ciò alluda alla presunzione di una egemonia, ma piuttosto ad un concorso diretto ad armonizzare il contesto civile, entro una visione di “bene comune”.

Si tratta del ruolo che compete ad un partito che, forte dell’ispirazione cristiana che lo muove, anziché pretendere di “arruolare” i correligionari, osa incontrare quelle “periferie” in cui faticosamente ognuno cerca il senso compiuto della propria vita, del resto secondo l’insegnamento e la sollecitazione di Papa Francesco. Qui sì, lungo un tale percorso ideale, potrebbe nascere dal basso, in un processo generativo che, anziché essere imposto, si autoalimenti, un “baricentro” che, non in termini di schieramento, ma piuttosto sul piano di costumi e di nuovi abiti mentali riscopra il valore fondativo della dignità inalienabile della persona e della vita. In tal modo, i credenti darebbero sul campo la risposta più diretta e più credibile a coloro che vorrebbero confinare il loro vissuto di fede alla dimensione intimistica della loro personale coscienza, negandogli ogni spazio di pubblico rilievo.

Si può essere ottimisti e sperare che possa nascere un nuovo percorso comune tra le varie esperienze politiche, sociali, culturali, associative nell’ambito del mondo cattolico? In effetti, l’esperienza degli ultimi decenni, la stagione del bipolarismo maggioritario ha visto prevalere un arroccamento politico dei cattolici su contrapposti schieramenti. Il che ha di fatto azzerato l’incidenza politica della cultura cattolico-democratica nella vicenda del nostro Paese. In sostanza, anch’essa fatta a pezzi dalla forzosa macchina divisiva del maggioritario. Non a caso, gli stessi cattolici attestati nel centro-destra, neppure i più convinti sostenitori di una concezione fortemente “identitaria”, prossima ad una visione integralista, nulla hanno potuto ottenuto, né saputo proporre sul piano dei principi e dei valori che anche noi con loro abbiamo a cuore.  La Seconda repubblica, a dispetto della candidatura di Berlusconi al Quirinale, è finalmente giunta al capolinea e, quindi, c’è, a maggior ragione, spazio, per avviare una stagione nuova.

Domenico Galbiati

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