Iniziamo la pubblicazione del documento del gruppo di lavoro di Politica Insieme sull’Innovazione coordinato da Gabriele Falciasecca e Roberto Pertile. Il documento è stato elaborato prima che il Coronavirus portasse ulteriormente in primo piano l’esigenza, anche da noi segnalata da tempo, di avviare un processo di trasformazione del Paese e di tutte le sue articolazioni. Pertanto, la pubblicazione del documento sarà seguita da quella di riflessioni aggiuntive da parte dei due autori e di altri amici particolarmente interessati a indicare quelle proposte efficaci per una politica di rilancio che, oggi, non può prescindere da tutto quel che è legato e connesso ai processi innovativi in campo tecnologico, economico, sociale e civile.

 

In questo documento si vuole indicare quello che dovrebbe essere il ruolo principale dello Stato nel campo delle politiche per l’innovazione tecnologica, intendendo questa espressione in senso lato, comprendendo dunque non soltanto le iniziative innovative in senso stretto ma anche le strategie che devono essere le prime ad essere ispirate a criteri innovativi. In questo senso l’emergenza prodotta dal Covid 19 mette a nudo una delle principali conseguenze della mancanza di queste strategie, ma, seppure senza la drammaticità imposta dalla attualità, c’erano già prima tutti segnali della necessità di questa impostazione.

Una dei problemi di fondo del nostro sistema socioeconomico e purtroppo anche politico, a livello internazionale e a maggior ragione a livello nazionale, è che ci siamo progressivamente messi in una condizione che rende veramente difficile avere e rendere concreta una visione a medio e lungo termine. Non si vuole qui assolutamente mettere in discussione la validità di ciò che quotidianamente viene realizzato dalla grande quantità di imprese sane del nostro paese, né le misure che a livello governativo sono state messe in campo, molte delle quali hanno avuto un effetto positivo. Ci si occuperà invece di ciò che di nuovo in modo significativo dovrebbe essere avviato dal governo, soprattutto laddove non si può ragionevolmente immaginare che l’economia di mercato, almeno quella che ora abbiamo di fronte, possa da sola fare ciò che è necessario. Sia chiaro che l’azione di governo non deve essere sostitutiva dell’azione dei privati, salvo casi particolari, ma complementare e soprattutto tale da creare le condizioni perché l’iniziativa privata possa svilupparsi consapevolmente nelle direzioni opportune, avendo creato un ambiente favorevole per tutto ciò.

Se guardiamo al passato del nostro paese possiamo trovare una buona quantità di esempi al contrario, ovvero di comportamenti dove l’azione di governo è mancata o addirittura è stata negativa. Alla fine degli anni sessanta – inizio settanta – in Italia si è disinvestito nel settore dei semiconduttori al silicio dove l’industria italiana era bene posizionata, ritenendo troppo elevato il rischio (Mediobanca tagliò il finanziamento degli investimenti dell’Olivetti). Negli USA, invece, proprio nel settore dei semiconduttori, anche con il fondamentale sostegno pubblico, nello stesso periodo, si sono realizzati importanti investimenti in ricerca che hanno dato il primato mondiale della produzione di semiconduttori agli USA. Il sistema Italia (pubblico e privato), allora, non seppe assumersi i rischi tecnologici che inevitabilmente crescono con il crescere dell’importanza qualitativa dell’innovazione. Il privato declinò il rischio e il pubblico non ritenne di intervenire. Altri esempi li possiamo trovare nel settore della chimica come in quello delle telecomunicazioni dove più volte c’è stato un intervento pubblico che ha portato alla distruzione in sequenza dell’industria dei televisori, poi di quella delle telecomunicazioni, infine dei gestori di telefonia mobile.

Il fatto è che il rischio nella gestione dei processi di ricerca e sviluppo altamente innovativi è generalmente molto alto; spesso è tale che non è sostenibile dai singoli piani aziendali; sovente per primo è il sistema bancario che si rifiuta di sostenere finanziariamente il progetto industriale. Ne deriva la considerazione che, cambiando rispetto al passato, il ruolo del libero mercato italiano non va sovrastimato, e non gli si devono attribuire obiettivi che non è in grado di raggiungere. Nel quadro di riferimento che andiamo a definire e sviluppare, il sistema dei soggetti privati opera secondo la propria logica, che è forzatamente soggettiva; mentre dall’altro lato il pubblico svolge un suo ruolo che non è di supplenza del privato ma è quello di fare ciò che nessun altro farebbe assumendosi gli alti rischi del programma innovativo.

In presenza di una innovazione che è spesso distruttiva –vedi la teoria di Shumpeter sulla distruzione creativa- bisogna operare perché il vecchio che sparisce sia sostituito da un nuovo che porti ad una somma algebrica positiva del valore economico. Con un sapiente uso dell’innovazione si può ottenere il risultato di aumentare la qualità e la quantità della produzione anche quando arriva da una innovazione distruttrice che è equivalente al cambio di paradigma nella scienza. Quando ciò avviene   non è per caso.  E’ il frutto di investimenti a lungo periodo nel pubblico e nel privato, inseriti, per quanto è possibile, in un piano organico di assunzione del rischio tecnologico. In ciò il nostro paese è stato spesso carente e oggi occorre indicare concretamente come dare una svolta.

Un capitolo a parte è poi quello della gestione delle emergenze. Poiché quelle che abbiamo ragionevolmente di fronte sono ben lontane dall’essere il “cigno nero” temuto dagli economisti: uno stato moderno deve saper affrontare questo argomento traendone benefici per l’economia. Non diciamo nulla di nuovo citando le politiche per la protezione del territorio, che possono ben giovarsi delle innovazioni tecnologiche presenti e future per mettere il nostro paese in sicurezza, che, in assenza di provvedimenti provocano continue catastrofi con conseguenti emergenze e danni molto superiori agli investimenti che sarebbero stati necessari per porvi rimedio per tempo. O al settore dell’emergenza ambientale con tutti i risvolti positivi che uno sviluppo della Green Economy può portare. Qui si è preferito avviare una politica di sussidi invece che di incoraggiamento allo sviluppo di imprese italiane su temi dove ancora non si era stabilita un consolidata leadership di mercato. Lo stesso Covid 19 con i possibili rimedi era stato previsto con dovizia di particolari da Bill Gates in una famosa conferenza di circa quattro anni fa. Ma i governi non ne hanno tratto profitto e anzi la spesa del nostro paese per la sanità pro capite è diminuita, ma soprattutto non c’è stato nessun tentativo di creare una struttura per questo tipo di emergenze, nuove anche per la nostra Protezione Civile. Questi esempi mettono in evidenza anche che l’innovazione, prima di essere tecnologica è organizzativa, come si vedrà più avanti parlando della Pubblica Amministrazione.

Peraltro non si può affrontare il tema delle politiche per l’innovazione tecnologica senza contestualmente discutere del fatto che esse devono comunque portare ad un aumento delle occasioni di lavoro in quantità e qualità, essendo questo aspetto cruciale per lo sviluppo della persona umana, il miglioramento della propria condizione individuale, la stessa libertà pratica di avere ed esercitare diritti.

Da sempre nella storia dello sviluppo tecnologico le innovazioni hanno portato ad una riduzione dei lavori nel qui/ora e ad un loro aumento in un altrove nel tempo, nello spazio, nelle competenze. Nel tempo perché la nascita delle nuove opportunità si presenta dopo un ritardo più o meno lungo dal momento della perdita; nello spazio perché si manifestano spesso in posti diversi; nelle competenze, perché i settori dove si generano sono spesso apparentemente lontani da quello di partenza e richiedono una nuova preparazione (skill). Ciò è avvenuto nel passato e sta verificandosi anche ora. La novità sta nella straordinaria velocità con la quale ora tutto si evolve, in conseguenza della esponenziale crescita di potenza delle tecnologie digitali che si moltiplicano con la legge di Moore[1] e che hanno ormai pervaso ogni settore della nostra società inculcandovi la stessa velocità. Quando questo processo ha reso possibile delle applicazioni che per brevità anche qui indicheremo di “Intelligenza Artificiale” (IA), sono ritornate le vecchie paure della “fine del lavoro“ assieme a nuovi problemi etici. E’ infine ancora aperto il dibattito sul fatto che i nuovi posti saranno più di quelli perduti, come è accaduto nel passato, o saranno invece di meno. Su questo aspetto c’è un interessante studio della Mc Kinsey che esamina i vari settori e conclude che la tendenza all’aumento continuerà, nei termini dell’altrove sopra indicato, ed offre una analisi settore per settore.

Nonostante questo ultimo aspetto sia rilevante, si deve comunque procedere a prescindere, perché le politiche da mettere in campo nel paese devono cercare in ogni caso di far si che siamo in grado di attirare una parte significativa delle nuove occasioni. Per ottenere questo è necessario che chi ha perso il lavoro sia sostenuto nell’attesa di poter trovare una nuova sistemazione; che il sistema paese si sforzi di essere il più possibile una adeguata culla per le innovazioni che così sceglieranno l’Italia e non altri luoghi come sede; che tutto il sistema formativo si adegui alla necessità di riqualificare i lavoratori e di preparare in modo adeguato i giovani per le nuove sfide. Non è facile affrontare questi tre punti ma ci permettiamo di dire che il terzo, quello della formazione, è il più critico stante la inerzia naturale di tutto il nostro sistema educativo che si scontra con la grande rapidità delle trasformazioni in atto, già introdotta. Vanno quindi sperimentate, e in parte si sta già facendo, delle modalità nuove di istruzione. Per ognuna di queste politiche il ruolo dello stato è determinante. L’istruzione fa parte dei suoi compiti specifici ma fondamentale è come saprà favorire le iniziative valide che si stanno già sviluppando. Gli altri due punti perché altrimenti si rischiano disordini sociali e limitazioni allo sviluppo. ( SEGUE )

Gabriele Falciasecca e Roberto Pertile

 

[1] La legge di Moore è una legge sperimentale secondo la quale ogni 18 mesi (il periodo è approssimativo) si raddoppia la quantità di transistor equivalenti integrabili nei chip, si raddoppia la velocità dei medesimi e si dimezzano i consumi. Questa crescita esponenziale è alla base della straordinaria rapidità delle applicazioni nell’ ICT.

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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