Doveva scattare, a Palermo, l’assalto ai forni. O alla loro versione moderna, i supermercati. L’inno di battaglia è partito da un gruppo Facebook e poteva finire molto male, visto che nell’Isola si sono già verificati episodi simili. Solo su scala minore. Non è successo nulla perché le forze dell’ordine hanno mangiato la foglia e sono state schierate a proteggere le strutture. Appaiono chiare alcune cose, in questa vicenda. Prima di tutto, non c’era alcuna reale intenzione di agire. Secondo, esiste, però, un vero problema. Terzo, questo problema non si può risolvere con le dirette Facebook alle 23 di notte.

Il problema devastante è che una parte della popolazione, abituata da sempre ad arrangiarsi, per farlo ha bisogno di gente per le strade. Vive della città, con la città, nella città. Questo vale a Palermo come a Napoli. Forse meno a Roma (ma ricordiamo che la Raggi aveva sollevato il problema). Non al Nord, dove i problemi non sono minori, ma sono certamente differenti. Questo volgo disperso che nome non ha, per echeggiare l’Adelchi di Manzoni ha, sostanzialmente, fame. O, quanto meno, una parte di esso ne ha molta.

Un’altra parte, ed esiste non neghiamocelo, sono i picciotti. La piccola manovalanza mafiosa per cui Cosa Nostra non ha i fondi per il mantenimento. Questi hanno un po’ meno fame, ma sono certamente più pericolosi. Il blocco della popolazione (drastica riduzione del mercato della droga e della prostituzione), quello delle attività commerciali (estorsione e pizzo) e quello degli appalti (corruzione ed affini) hanno ridotto le attività criminali sul lastrico. Ed ovviamente a soffrirne non sono certo i capi. Ecco che quindi si manifesta il rischio supremo: che partano rivolte dettate dalla fame. Anche perché, gli stessi provvedimenti hanno creato altre criticità.

Il Terzo Settore ha un polmone e mezzo in meno. La beneficenza privata ha subito, se non un tragico arresto, di sicuro un cambio di indirizzo. Adesso chi nutre gli affamati deve competere con gli ospedali che chiedono mascherine. E questa è, francamente, una battaglia impari. Inoltre ci si deve confrontare con una minore propensione ad impegnarsi in prima persona. Non possiamo essere troppo severi, la quarantena esiste per un motivo. E molti, giustamente, si attengono allo spirito della norma, restando a casa. Questo porta ad uno strozzamento della “logistica” degli aiuti. E così la richiesta sale e si fa forte: si chiedono mille euro a famiglia per mangiare.

Molti possono essere i modi per implementare questo sistema. Forse l’iniezione diretta è quello più problematico. Invece un aiuto al terzo settore, come previsto dal Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di ieri sera, dando fiato e capacità di spesa a chi ha sempre dimostrato assoluta correttezza e schiena diretta potrebbe far arrivare gli aiuti a destinazione. Rispetto ai 26 miliardi della prima opzione, ne vengono anticipati ai Comuni solo 4. 4,4 per essere precisi. E saranno filtrati, auspica Conte, da chi il territorio lo conosce davvero. Scegliendo, quindi, la strada forse più sicura.

Questa è l’importanza dei corpi intermedi, in casi così delicati e pericolosi. Certo, qualcuno storcerà il naso all’essere aiutato. C’è ancora una forma di riserbo e di orgoglio che rende la situazione delicata. Oltre al fatto che, sinceramente, un minimo di giudizio su chi prende i soldi e come li spende il contribuente se li aspetta. E lo stato non è certo adatto a distinguere il grano dal loglio.

Del problema se ne è resa conto anche Roma. Il ministro Provenzano, con delega al Sud ed alla coesione territoriale, è intervenuto due volte sul tema. Forse con poco tatto, viste le reazioni a Nord. Ed è questo il rischio: se a Palermo si fa la fame, a Bergamo si muore. Si muore negli ospedali. Si muore nelle case di risposo, nelle RSA. Si muore a casa, senza assistenza. Per cui ogni intervento va gestito con la sapienza ed il tatto del buon padre di famiglia. Che sa, in cuor suo, che il figliol prodigo ha fame e non può tollerare che muoia di fame. Ma, in questo caso, sa anche che il figlio maggiore è ammalato e, nonostante questo, è nei campi perché la famiglia non patisca più del necessario. 

Non credo serva ricordare che la situazione è complessa e le soluzioni semplici tendono a cadere a pezzi sotto il maglio della realtà. Così dobbiamo consolarci con l’opera, silenziosa e preziosa, delle migliaia di volontari che, come tanti Fra Cristoforo, sfidano il morbo per non venire meno ai loro voti, alla loro vocazione o alla loro Fede. Non si contano più i sacerdoti morti in Lombardia. Ecco, questo esercito di riserva, meno lodato e meno blasonato di quello in camice, in queste ore, in questi minuti lavora contro un secondo disastro, quello economico e sociale, che segue immancabile quello sanitario.

Forse sono proprio loro le forze che dovremmo schierare contro la disperazione, il carburante di ogni rivolta. Dando così un volto umano a quello che sarebbe, altrimenti, un anonimo bonifico in una situazione in cui, per citare il Santo padre, “fitte tenebre si sono addensate“.

Luca Rampazzo

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