Nell’ottica di una reclamata e sacrosanta riorganizzazione dell’apparato amministrativo, quale presupposto necessario e nel contempo volano per un più ampio progetto di modernizzazione ed “efficientamento” del sistema-paese da rendere più competitivo e utile al bene dei cittadini, dobbiamo prefigurare una serie di riforme da sottoporre all’evidenza del legislatore e dell’esecutivo, ovvero all’attenzione della commissione Colao per la fase 2.
E sulla scorta di una sensibilità cattolica e al “sociale”, non che di un’esperienza maturata in diversi campi dell’attività di governo, mi chiedo perché non dare priorità alla Famiglia, società primaria e nucleo fondamentale dello Stato-comunità?
Partiamo quindi dai suoi diritti, a volte calpestati, genericamente sancìti dagli artt. 29 e seguenti della Costituzione (in parte integrati dalla legge che ha riconosciuto, al termine di un lungo e acceso dibattito, le “unioni di fatto”), per poi scendere ai due istituti giuridici di nostro interesse, come l’adozione, nazionale e internazionale, e l’affido. La norma base di riferimento è l’art. 31, c. 2, laddove precisa: “(La Repubblica) protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo…”; e premesso che la Costituzione “più bella del mondo” nasceva sulle ceneri di città distrutte e di una popolazione impoverita e disastrata, possiamo ben comprendere il contesto socio-culturale, più che politico, in cui il Parlamento dibatteva e deliberava su principi etici e giuridici, limitandosi ad una previsione di principio a tutela di carattere generico e piuttosto vaga o astratta.
Si dovrà attendere addirittura decenni per ottenere delle pronunce del giudice costituzionale, il quale avrebbe dichiarato il riconoscimento, in concreto, del “superiore interesse del minore” come ragion d’essere nell’ordinamento italiano, ispirandosi ai valori supremi della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà – già affermati dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani” – che sono a fondamento di ogni sistema democratico.
Sociologicamente la nostra società è stata definita, di recente, “familista” (Prorettore Uni. Bocconi, Billari), nel senso che specialmente nella tragica crisi che stiamo vivendo si è dimostrata solida e affidabile, proprio come dovrebbe essere qualsiasi istituzione su cui contare nel momento della difficoltà e del dolore; e sostituendosi, talvolta, allo Stato per quella azione di mutua assistenza che dovrebbe esser garantita attraverso i servizi sociali degli enti territoriali, ma che scarseggiano spesso nel Mezzogiorno.
Prendendo le mosse degli artt. 2 e 3 Cost. la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato e definito modi, contenuti e finalità insiti nei diritti della famiglia, “società naturale” preesistente allo Stato e caratterizzata da diritti primordiali, intangibili cioè assoluti, avanti ai quali “lo Stato nella sua attività legislativa si deve inchinare” (A. Moro). Mentre, secondo il Papa, “la famiglia è l’ambito della socializzazione primaria perchè è il primo luogo in cui si impara a collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere… ad aiutare… C’è allora in gioco il futuro della nostra società”.
Bastano già queste, sagge parole del più grande statista del ns Paese, stimato giurista, e dell’amato Pastore della chiesa cattolica, per indurci a riflettere sull’importanza che deve e dovrà assumere la famiglia come elemento centrale e vitale nel programma della Fase 2, senza nulla togliere alla riforma sanitaria, allo sviluppo economico o alla valorizzazione del patrimonio storico, naturale e artistico.
Di conseguenza, dovrebbe esser riconsiderato dall’autorità politica il ruolo ed il peso istituzionale del Ministro per la Famiglia, notoriamente classificato di secondo ordine a norma del “Manuale Cencelli”, mai ufficialmente abolito, nè sconfessato. Siffatta riforma di rilievo istituzionale abbinerebbe ad una maggiore potestà statale quella autorevolezza che si può legittimamente auspicare per rifondare un dicastero del Welfare competente e funzionale, capace di contribuire a ricostruire e rigenerare un paese che ha bisogno assoluto del Terzo settore – come spiegato ampiamente da Stefano Zamagni – il quale ha fornito indiscusse prove della propria validità di fronte ad un’emergenza durata non pochi mesi.
Soltanto una visione organica del diritto di famiglia, in tutte le sue componenti e sfaccettature, e dello Stato sociale potrà includere un adeguato riordino delle disorganiche disposizioni legislative e regolamentari in materia di adozione, sia nazionale che internazionale, e di affidamento dei minori, compresi quelli stranieri “non accompagnati” che vagano nel territorio nazionale.
Un processo di riforma in senso dinamico, finalizzato ad una gestione moderna, efficace e trasparente dei richiamati istituti comporterebbe in primis, necessariamente, un’evoluzione e una favorevole diffusione di una più attenta e maggiore disponibilità da parte delle coppie italiane, unite o meno dal matrimonio, nell’accogliere e rendersi aperte e pronte a prendersi cura di minori abbandonati o rimasti prematuramente orfani.
In secondo luogo, un intervento legislativo ad hoc sarebbe, inevitabilmente, un buon trampolino di lancio per andare verso quella “cultura dell’integrazione che non se la passa tanto bene…”, come sottolineato da N. Galantino “Sul Confine”. Inoltre, in una fase storica come quella attuale porterebbe “linfa nuova per un’Europa che rischia l’asfissia” grazie allo svecchiamento della popolazione.
Le parole – chiave in un paradigma del genere, di rinnovamento normativo, organizzativo e di comunicazione istituzionale sono, a mio avviso, la semplificazione e la velocizzazione del procedimento amministrativo.
Per semplificazione s’intende nella fattispecie sia lo snellimento burocratico degli organi/organismi istituzionali e dei loro rapporti, sia la revisione delle distinte fasi dell’attività, auspicabilmente attraverso l’adozione di un Testo unico delle disposizioni legislative, al fine di alleggerire taluni passaggi decisionali, sempre nel rispetto della trasparenza e della legittimità.
Quanto ai tempi, la maggiore nota “dolens” sarà indispensabile una loro netta abbreviazione, tenuto conto che la durata media, ad oggi, per terminare la procedura dell’adozione è addirittura di quasi quattro anni! In tal modo il nostro ordinamento si riapproprierebbe dei principi basilari come la certezza del diritto o il buon andamento, dicasi “le buone prassi” con la prospettiva di elevare il fenomeno delle adozioni e degli affidamenti da una posizione marginale ad istituti degni di considerazione sociale e giuridica, quindi riportandone il numero complessivo ad una cifra accettabile, secondo la migliore tradizione italiana, tanto più che quello attuale è il 60% in meno rispetto al 2012 !
E’ troppo affermare che detta riforma non è procrastinabile, considerato che politicamente procrastinare significa: guadagnare tempo?
Al contrario, in conclusione, il tempo perso negli anni e legislature scorsi dev’essere “guadagnato” o meglio recuperato.
Questo è il mio punto di vista, fuor di dubbio e fuor di metafora, altrimenti il buon Don Nunzio (Mons. Galantino) potrebbe chiedermi, un giorno, in modo giustamente provocatorio: “tu dov’eri?”
Michele Marino
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