E’ di recente diffusione la notizia che il Governo dell’Indonesia abbia deciso di avviare la campagna di vaccinazione contro il Covid-19 partendo da donne e uomini ricompresi nella fascia di età tra i 19 ed i 59 anni.

Se si trattasse di una notizia rispondente al vero e le motivazioni alla base di questa scelta politica fossero quelle riferite dal Prof. Amin Soebandrio – Consulente sanitario del Governo Indonesiano -, ovverossia, l’obiettivo di iniziare col preservare le fasce più giovani della popolazione, vi sarebbe da aprire una riflessione profonda e drammatica su una delle realtà più trascurate in Italia, come in buona parte dell’Occidente, divenuta lampante da quando abbiamo fatto conoscenza con il Covid-19: il mutamento di prospettiva antropologica di un Paese che ha smesso di guardare avanti e, ripiegato nostalgicamente, cronicamente, sul proprio passato, ritiene che esista solo “prima” e non più “dopo”.

Bene inteso, la riflessione che urge non è l’auspicio per l’intrapresa di una politica eugenetica che veda soccombere i più “deboli” (gli anziani?) a salvaguardia del “progresso economico”. Neppure, come spesso scioccamente si discute, questa riflessione dovrebbe servire a stabilire una gerarchia di valori tra salute ed economia così da certificare una primazia dell’una o dell’altra al fine di giustificare lock down più o meno generalizzati.

No. La riflessione in questione avrebbe costrutto solamente se ci aiutasse a renderci conto di come nel nostro Paese volenti o nolenti, consapevolmente o meno, si sia deciso, ontologicamente, di rinunciare al futuro e si preferisca ossessivamente il passato. Non che il processo sia iniziato con il Covid-19 – è ben più risalente – ma, come dire questa pandemia lo ha asseverato, per utilizzare un termine in lingua burocratese.

Gli esempi sono lampanti e molteplici.

  • La scuola. Come sempre, occupa l’ultimo gradino ed è la “priorità” meno coltivata di tutte, tanto è vero che è stata l’unica Istituzione italiana ad aver chiuso i battenti sin dal febbraio 2020, pressoché senza soluzione di continuità e senza che, a parte pochi, si dicesse o facesse qualcosa di sensato per poterla mantenere fruibile. Qualcuno, in Italia, è mai stato sfiorato dall’idea di iniziare a vaccinare gli studenti per consentirgli di frequentare le aule scolastiche ed evitare di essere asintomatici ed inconsapevoli “untori” dei loro nonni e genitori? Non pare sia così. Eppure, da tempo immemore, la più grande ricchezza di un popolo sono sempre state le generazioni a venire su cui, peraltro, sarebbe ricaduto il carico di quelle passate. E se è vero che, come da anni illustri studiosi ci insegnano, siamo nel pieno dell’economia della conoscenza, è saggio e sano, per un popolo che voglia sopravvivere e prosperare, relegare all’ultimo posto quelli che dovrebbero crescere per svolgere il ruolo principale nelle nuove sfide dell’era digitale?
  • Il debito pubblico incontrollato. Il nostro migliore amico. La consuetudine cui siamo più affezionati da almeno quattro decenni, forse perché lo viviamo come un fantasma sempre evocato e mai comparso, qualcosa di molto lontano e vago, eppure, è l’elemento di maggiore incidenza sulla vita di chi è nato dopo la metà degli anni 60’ e, divenuto adulto, lo ha pagato in termini di lavori eternamente precari nel privato come nel pubblico (pensiamo ai medici ed agli operatori sanitari o gli insegnanti), di blocco delle assunzioni, di poca o scarsa manutenzione delle infrastrutture (vedi ponti e scuole che crollano come fossero castelli di sabbia), di emigrazione forzata all’estero per trovare il giusto riconoscimento professionale, di sevizi gratuiti sempre meno gratuiti e sempre più spesso poco o nulla funzionanti. Eppure, nonostante tutto questo, qualcuno ha mai seriamente pensato ad alternative integranti o sostitutive delle risorse derivanti dall’indebitamento con l’estero per uscire dalla crisi da Covid-19? No, siamo fisiologicamente rassegnati al debito, ossia assolutamente pronti e disponibili a frodare i nostri successori.
  • Il sussidio ovvero la mancia di stato. Giusto e sacrosanto per accompagnare chi non ha mezzi o capacità, diventa il peggiore esempio possibile per le giovani generazioni che dovranno ricordarlo come unico, vero, intervento dello Stato durante la pandemia che, peraltro, li ha visti in buona parte esclusi dal magro beneficio. Non potranno, invece, ricordare misure atte ad incentivare l’impegno e la resilienza, il coraggio e l’assunzione di responsabilità, le prospettive ed il futuro. Non potranno ricordare alcun intervento strutturale o, quantomeno, in grado di fare da ponte per salvaguardare vite ed attività di chi non gode di un reddito fisso e sicuro o di chi non è abbastanza “miserabile”. Insomma, terranno a mente che, tutto sommato, quando arriva una crisi epocale è molto meglio farsi trovare nella peggiore condizione possibile.
  • Il lock down o i lock down, visto che ve ne sono di diversa intensità e colorazione. Forse è l’esempio tra gli esempi. Visto che è stata l’unica risposta effettiva alla pandemia, dispensata con generosità ed indiscriminatamente, verrebbe da chiedersi quanti si sono posti il problema che la dinamicità, l’interconnessione, il networking, la socialità, non sono unicamente termini per descrivere aspetti ludici dell’esistenza ma, per qualcuno, più di qualcuno, sono elementi essenziali della propria attività lavorativa o imprenditoriale, specie se è attività sul nascere di chi si è appena affacciato sul mercato. E’ giusto e sacrosanto che chi gode di pensioni o di un reddito fisso e stabile pretenda la limitazione dei contatti, ma quanti sono i giovani che godono di pensioni o stipendi statali (è interessante notare che, già nel 2017, l’età media dei dipendenti dei Ministeri in Italia era di 55 anni), quindi, intoccabili per antonomasia? Anche in questo senso, il posto in fondo alla fila, per assurdo, va sempre a quelli con maggiore aspettativa di vita e, gioco forza, destinati a tirare il carro.

E via discorrendo. Si potrebbe continuare per pagine e pagine. Il tutto, però, è tristemente riassumibile in una tipica “frase fatta”: vivere come se non ci fosse un domani! Non lamentiamoci del nichilismo delle giovani generazioni se i primi a negarne il futuro sono quelli che dovrebbero prepararne la strada.

Domenico Francesco Donato

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