La vicenda del Covid 19, tra gli altri effetti collaterali, ha appesantito il ruolo della finanza derivata nella vita degli enti locali. Ai Comuni servivano – servono – più risorse, per fronteggiare compiti accresciuti, per esempio di loro servizi sociali, per compensare minore gettito o, ad esempio, di imposte di soggiorno a causa del blocco del turismo, o per sostituire gettito cessato per sconti e rinvii agli operatori.
La crisi, dunque, tra le due leve della autonomia impositiva e della finanza derivata, ha enfatizzato la seconda. Nel corso dell’anno appena finito diverse volte esponenti degli enti locali hanno minacciato di essere trascinati verso la soglia di default, il dissesto finanziario, da insufficienti interventi dello Stato.
A questo proposito, con una breve digressione, si può osservare che la disciplina del deficit strutturale, e poi pre dissesto (curabile con piani pluriennali di recupero) e in extremis del dissesto finanziario, avrebbe dovuto trattenere gli Enti dallo scivolare troppo lungo il piano inclinato. Forse le conseguenze per gli amministratori non sono sufficientemente dissuasive. Le difficoltà per le realtà che vivono di (ritardati) pagamenti, come numerosi soggetti del Terzo settore, sono evidenti.
La finanza derivata, con una osservazione così ovvia da essere semplicistica, è ciò che permette alle Amministrazioni locali di presentarsi come coloro che ottengono risorse a beneficio della cittadinanza e della comunità degli affari, ma senza esporsi a chiedere soldi ai cittadini e alle imprese. Dunque, tutto il contrario di come dovrebbe essere.
Per questa via si deresponsabilizzano le classi dirigenti locali e si alimentano il debito pubblico e l’antipolitica.
La finanza locale nei principii è stata ridisegnata nella riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, che compie quest’anno venti anni. Rimettere le mani nel Titolo V è una necessità che la Pandemia ha reso sia più evidente sia più urgente. L’articolo 119 merita di essere compreso in questa riconsiderazione. Sono cambiate le stagioni politiche, l’espressione “federalismo fiscale” è divenuta desueta, la spinta a gonfiare le vele della autonomia impositiva, come già accennato, non c’è stata. Le prassi attuative a volte vanno interpretate anche per perfezionare le norme che le hanno generate.
Sulle persone fisiche l’autonomia impositiva impatta sulle addizionali IRPEF: il volto dell’esattore è però quello dello Stato. Sono anche coinvolte in IMU E TASI. Più complessa è la situazione delle imprese. Tuttavia qui bisogna distinguere tra le più grandi, quelle che possono scegliere le sedi fiscali, e quelle che dalla localizzazione sono vincolate all’ente impositore.
Solo per inciso va considerato che i margini di scelta di localizzazioni fiscalmente più vantaggiose sono destinati a ridursi, e non solo per il contrasto progressivo ai cd paradisi fiscali. Nell’Unione Europea sono in corso di maturazione due innovazioni, e l’una o l’altra, o forse entrambi, matureranno. Le necessità degli Stati più grandi e con i bilanci più onerosi sono inesorabili. La materia richiede l’unanimità, ma se si prende la strada di considerare anticoncorrenziale la sussistenza di pesanti dislivelli impositivi basta la maggioranza. Si tratta di una possibilità ancora non maturata. Le due innovazioni in via sono, da diversi anni, la definizione di una base imponibile comune per l’imposta sulle società. L’altra l’idea di una aliquota minima sul reddito delle società, una sorta di minimum tax
Non se, ma quando queste innovazioni matureranno, si applicheranno dal primo giorno ai bilanci consolidati e ai grandi gruppi, ma poco dopo si estenderanno a tutte le società.
Le imprese strettamente locali si trovano oggi quasi prigioniere della imposizione locale. Una delle organizzazioni più attente (CNA che realizza un rapporto periodico) ha calcolato che il Total Tax Rate, l’incidenza complessiva della imposizione sui profitti, arriva in alcune regioni a sfiorare il 70%. Vanno comprese bene le marcate differenziazioni che vedono questa percentuale più elevata in territori meno prosperi.
Parlare al presente è difficile, per le scelte fiscali compiute nell’emergenza pandemica, ma anche perché quest’anno va in vigore la norma della penultima legge di bilancio che unifica in un unico canone imposte e canoni preesistenti sulla occupazione di aree pubbliche, sulla pubblicità e le affissioni, sulla installazione dei mezzi pubblicitari, etc.
Ma è evidente che la riduzione del numero delle imprese e del volume delle attività, che non si esaurirà nel breve periodo, intaccherà le risorse degli enti locali.
C’è un argomento, che ho letto con stupore nei documenti e nelle dichiarazioni dei mesi scorsi da parte di Comuni, altri enti locali e loro rappresentanza. È l’idea che i Comuni debbano innanzitutto provvedere a un pareggio di bilancio sociale, e che lo Stato sia tenuto a provvedere le risorse necessarie a questi scopo. Ora in certi confronti sono ammesse licenze politiche, come in altri campi le licenze poetiche. Ma sono lontani i tempi di un’orgogliosa rivendicazione di autonomia impositiva.
Una posizione di valorizzazione alta delle autonomie locali non può prescindere da riproporre con serietà il tema della autonomia impositiva, come leva necessaria della sussidiarietà verticale (ma non estranea a quella orizzontale). Al tempo stesso occorre individuare soglie massime, perché le imprese hanno il dovere di pagare le tasse, ma anche di investire, anche di assumere, anche di premiare produttività e inventare welfare aziendale. Non è lo sceriffo di Nottingham un esempio di autonomia impositiva. Una autonomia impositiva responsabile va ripensata e messa a fuoco con il concorso dei corpi intermedi interessati, perché il bene comune si genera nella fatica di un confronto che soppesi le risorse che servono e il per fare che cosa.
Il ddl delega di riforma fiscale, sebbene collegato alla legge di bilancio, è atteso nei prossimi mesi, salvo crisi di Governo o forti discontinuità programmatiche. Ma non è scontato che nel perimetro della riforma siamo comprese le questioni che ho accennato. Si dovrebbe promuovere un approfondimento giuridico ed economico, e farne materia di dialogo con le rappresentanze imprenditoriali, per formulare linee nuove di soggettività della autonomie locali alleate – nella sussidiarietà – delle loro comunità, perché siano prospere e inclusive. Ci sono in Insieme, o vicino, persone capaci di farlo.
Vincenzo Mannino

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