Difficile non concordare con l’articolo di Renato Veneruso ( CLICCA QUI ) sulla sentenza del Bundesverfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, dello scorso 5 maggio.
Commetterebbe infatti una grave ingenuità chi pensasse che i problemi sollevati dal tribunale supremo tedesco siano agevolmente superabili – senza passare attraverso tutte le incognite di un conflitto e di una mediazione politici -sulla base del semplice assunto che le scelte della BCE siano di competenza esclusiva dell’Unione e che in particolare le sentenze della Corte europea di giustizia siano vincolanti per le magistrature nazionali.
I motivi per cui tale ingenuità è da evitare mi sembrano appartenere ad almeno tre distinti ordini di motivazioni.
In primo luogo, l’invocazione di un primato puro e semplice del diritto europeo in alcuni ambiti materiali (e della corrispondente esclusività della competenza della Corte di giustizia) si scontra con una realtà consolidata di rapporti fra diritto nazionale e diritto europeo. Questa realtà sempre meno può essere letta e compresa con categorie di tipo gerarchico perché sempre meno gli ambiti materiali possono essere distinti e le interdipendenze isolate.
Com’è noto, è tutta la realtà giuridica contemporanea ad essere ormai articolata secondo un criterio pluralistico che – ad esempio – da tempo ha messo in crisi quello che per secoli è stato un assunto indiscusso del principio di sovranità: l’esclusività dell’ordinamento giuridico statuale all’interno dei confini di uno stato nazionale. Non è molto semplice, sul piano della cultura giuridica diffusa far riemergere armamentari interpretativi che appartengono ormai al passato.
Infatti, questa dimensione pluralista espone continuamente anche il diritto europeo alle medesime verifiche ed elaborazioni giurisprudenziali finalizzate a prevenire (o rimediare a) lesioni della identità di ciascuno degli ordinamenti che di volta in volta possono verificarsi.
Questo parallelismo si registra nella (ormai) ricca esperienza giurisprudenziale e dottrinaria relativa alla sussistenza di “controlimiti” che – non a caso – si è sviluppata tanto sul versante dei controlimiti di matrice nazionale, quanto su quello dei controlimiti di matrice eurounitaria.
Ciò che qui si vuole affermare – senza entrare nel merito della comparazione fra lo “zoccolo duro” di principi e prerogative nazionali esposti dalla Corte tedesca e lo “zoccolo duro” della competenza comunitaria sulla politica monetaria dell’euro, invocato dalla Von der Layen – è che molto correttamente l’articolo di Veneruso mette in guardia da semplificazioni e tentazioni di sminuire il tema della “proporzionalità” sollevato dai giudici di Karlsruhe, valutando invece con la dovuta serietà le interdipendenze fra politica monetaria della BCE, spinta (a detta dello stesso suo ideatore, Draghi) fino al limite estremo (e forse oltre) del mandato della BCE stessa e scelte di politica economica degli stati membri che sono prerogativa degli stessi e che coinvolgono un fascio di principi costituzionali fra i quali probabilmente anche alcuni rientranti in quello “zoccolo duro” che si vuole (e deve rimanere) intangibile.
Il secondo luogo, nel leggere questa vicenda occorre considerare anche un altro tema – che invece l’articolo di Veneruso non richiama – che è quello della (da tempo) nota resistenza della Corte tedesca, e non solo (ad esempio anche quella danese) ad accettare quanto costantemente ribadito nella propria giurisprudenza dalla Corte europea di giustizia (sin dalle sentenze Costa/ENEL e Internationale Handelsgesellschaft): la supremazia assoluta del diritto comunitario, sia primario che secondario, rispetto a tutte le disposizioni di diritto nazionale. Per lunghi anni la Corte tedesca, seguita da tribunali di istanza inferiore, ha rivendicato – ad esempio – il diritto di esaminare almeno il diritto comunitario secondario per accertarne la compatibilità con il diritto costituzionale nazionale[1].
Il ruolo della Corte costituzionale tedesca quale arbitro dell’apertura-chiusura dell’ordine nazionale “e persino della velocità con la quale progrediscono gli ordinamenti sovranazionali” è stato da tempo illustrato da Sabino Cassese[2] che ricordava, in quella occasione il ruolo svolto da quella Corte con le sentenze sul trattato di Lisbona e (già nel 2014) sulla stessa pratica degli OMT da parte della Banca centrale europea[3].
Infine, un terzo motivo di prudenza nel valutare il conflitto in corso e la sua apertura a soluzioni del tutto opposte, sulla base di dinamiche interamente affidate alla politica interna tedesca, discende dalla fragilità stessa di tutto l’impianto della politica monetaria dell’euro, più volte descritto e lumeggiato nelle sue contraddizioni non risolte da autorevolissimi protagonisti che vanno da Carlo Azelio Ciampi – con la sua incisiva immagine della “zoppia” dell’intera architettura europea – fino a Paolo Savona che nella sintesi realizzata nel documento “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa” riassunse – nel settembre 2018 – e presentò, a nome del Governo italiano, una proposta di completamento e rafforzamento della costruzione europea che elencava puntualmente gli ostacoli che ancora si frapponevano, fra i quali – certamente in primo piano – vi erano descritti quelli relativi alla governance e al mandato della BCE.
Insomma, se ad alcuni il paragone tra la sentenza del 5 maggio e l’affissione delle 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg può sembrare solo una brillante trovata giornalistica ( CLICCA QUI ), a me sembra invece qualcosa di più: la segnalazione di un possibile punto di coagulo di contraddizioni lungamente maturate e una delle espressioni più significative di un reticolo di forze economiche, politiche e sociali oggi in cerca di rappresentanza nella sempre più complicata partita europea.
Enrico Seta
[1] Si veda ad esempio la Relazione Alber al Parlamento europeo sui rapporti fra il diritto internazionale, il diritto comunitario e il diritto costituzionale degli Stati membri (settembre 1997).
[2] Fine della solitudine delle corti costituzionali, ovvero il dilemma del porcospino (2015).
[3] BverfGE,2 BvR 1390/12 vom 18.3.2014.