Premessa

Il segretario generale del Censis, Giorgio De Rita, ha messo in evidenza dati interessanti. Il 35% degli italiani avverte l’esigenza di riformare la giustizia, la crescente sfiducia nella magistratura, l’insofferenza per la lentezza dei processi. Inoltre, prosegue il rapporto, c’è una domanda di tutela per nuovi diritti, pensiamo alla tutela ambientale, alle nuove tecnologie, alla privacy.

E’ dunque necessario prendere posizione, nel quadro valoriale di un partito di ispirazione cristiana, con uno sguardo costituzionale, sulle questioni afferenti alla giustizia.

L’approccio al tema “ giustizia ”  nel quadro definito dallo “Stato di diritto” e dai “diritti umani”  è metodologicamente condivisibile  a patto che si concili  l’astratta cornice con le risposte necessariamente concrete  che il dipartimento deve dare nell’ottica della “trasformazione” indicata nel Manifesto e nelle linee programmatiche del partito che trovano sostanza nei princìpi della dottrina sociale della Chiesta.

Insomma bisogna trovare il modo di rendere la narrazione certamente alta, e non banale né puerile, ma anche popolare, ovvero che tutti possano comprenderla senza essere necessariamente membri dell’èlite più colta e agiata.

Infine, nella giustizia  , un partito di ispirazione cristiana aperto a credenti e non credenti, deve privilegiare un modello improntato alla salvezza della relazione tra le parti in conflitto, tenendo in una mano il Vangelo e nell’altra la Costituzione.

Sulla giustizia civile

La saggezza popolare ha coniato molti proverbi sulla conciliazione delle controversie. Tra questi mi piace ricordare ciò che ripeteva spesso mio padre:

Meglio un cattivo accordo che una buona sentenza.

Ciò vale a maggior ragione oggi, in un contesto di paralisi del sistema giudiziario, dove per avere giustizia si deve attendere per un numero imprevedibile di anni una sentenza che arriva quasi sempre fuori tempo massimo per tutelare i diritti.

Ma ci sono ragioni più profonde per percorrere la strada della conciliazione. Sono ragioni politiche, sociali ed economiche ed attengono alla sfera dei rapporti con l’altro.

Per questo occorre:

  • ripensare l’intera disciplina delle procedure ADR di risoluzione alternativa delle controversie formando anzitutto mediatori professionali, escludendo l’avvocatura ( alla quale può essere lasciata la negoziazione assistita, più vicina alla forma mentis dell’avvocato), ampliando le materie ove è resa obbligatoria e rendendo effettive e disincentivanti le sanzioni nell’ipotesi di mancato accordo.
  • ripensare il procedimento di cognizione. Un unico rito a cognizione piena ? Mantenere un rito a cognizione piena ed uno sommario ? Si può immaginare il procedimento di cognizione sul modello dell’ attuale rito del lavoro (compreso il tentativo obbligatorio di conciliazione) uguale per il GdP , Tribunale e Corte d’Appello ? ( Il che,in quest’ultima ipotesi, obbligherebbe il legislatore anche alla semplificazione legislativa che non pochi benefici apporterebbe  in termini di chiarezza e qualità ).
  • Rendere effettive le sanzioni qualora gli atti processuali non siano redatti in forma sintetica e sobrio.
  • Rendere effettive le sanzioni qualora il deposito dei provvedimenti del giudice non rispetti i termini di legge.
  • La legislazione sulla crisi d’impresa.Aggiornare alla luce della nuova situazione aggravata dalla pandemia il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
  • Investire nelle strutture e nel personale addetto ( giudici, cancellieri, segretari) così da rendere davvero ragionevole la durata del processo.

Sulla giustizia penale

Nel 1988 è stato emanato il nuovo codice di procedura penale (in vigore nel 1989, ministro Giuliano Vassalli,  sulla scorta dei lavori della commissione ministeriale presieduta da Giandomenico Pisapia ).

Prima del 1989 il processo penale presentava la commistione tra modello accusatorio e inquisitorio, dovuta alla presenza del giudice istruttore.

Nella disciplina dell’attuale codice la figura del giudice istruttore è stata soppressa e il processo ha assunto caratteristiche prevalentemente accusatorie.

Tuttavia non vi è ancora una perfetta parità tra accusa e difesa; quindi il processo come attualmente disciplinato lo si può ancora considerare un sistema misto.

Benché  il codice attuale abbia inteso eliminare la prevalenza  della fase delle indagini( dove predomina il ruolo del pubblico ministero, organo deputato all’accusa) rispetto a quella del contraddittorio (la prova si forma nel dibattimento), il pubblico ministero  resta un magistrato la cui attività avvalora quella del giudice. Infatti, raccoglie le prove  “nell’interesse della legge” per consentire al  giudice di assolvere o condannare l’imputato.

Quindi, l’analisi che  precedere una corretta elaborazione, impone di scegliere se prediligere l’attuale sistema misto o il sistema accusatorio puro.

Questo ,a mio parere, è il vero nodo politico da sciogliere prima di ogni altra considerazione nel senso che il modello scelto ispirerà le altre  valutazioni ,per esempio, sul CSM , sulla separazione delle carriere dei magistrati, etc …che sono indicate in tutti i sondaggi come delle priorità ( e, comunque, per uscire dalla logica delle micro-riforme ,spesso incoerenti perché dettate da  situazioni contingenti e non sempre disinteressate. A proposito ricordo una proposta, un po’ datata, cioè quella di far precedere l’interrogatorio all’eventuale misura cautelare detentiva e la prescrizione per fasi).

Per esempio, se si decidesse di mantenere l’attuale sistema misto perché dovremmo optare per la riforma del CSM o la separazione delle carriere dei magistrati ? Non sembrerebbe una scelta incoerente ?

Per quanto riguarda poi il diritto penale sostanziale pare urgente mettere mano ad una vera e propria depenalizzazione dei reati minori, anche dei reati previsti nelle numerose leggi speciali.

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