L’ Assemblea Nazionale francese verrà chiamata in autunno ad esaminare un disegno di legge, in tema di bioetica, già approvato dal Consiglio di Stato e dal Consiglio dei Ministri transalpino che, oltre ad introdurre nuove norme in vari ambiti, sostanzialmente generalizza la facoltà di accesso alla “procreazione medicalmente assistita”, negandola solo a coppie maschili di omosessuali, evidentemente per conservare almeno il divieto alla maternità surrogata.
E’ perfino superfluo ribadire i motivi del contrasto frontale ed incomponibile di una simile impostazione legislativa, ove fosse effettivamente introdotta, con una concezione cristiana dell’uomo e della vita.
C’è da chiedersi, piuttosto, quale sia il brodo di coltura o meglio dove stiano le sorgenti di un pensiero politico che assume tali orientamenti per un verso proponendoli in proprio, ma, nel contempo, più semplicemente adattandosi, cioè desumendoli passivamente da un indirizzo che si coglie già di per sé prevalente nella pubblica opinione, motivando, altresì, come questa corrispondenza di intendimenti rappresenterebbe il colmo della democrazia e ciò, a sua volta, costituirebbe, al di là del merito del provvedimento in oggetto, la ragione ultima della sua piena legittimità.
Insomma, un gioco di rimandi che si incrociano in maniera tale da rispettare sicuramente le regole della democrazia intesa come forma e procedimento, ma, di fatto, non ne garantisce l’aspetto sostanziale in quanto la politica, in questo corto-circuito, rinuncia alla propria funzione critica e di guida, assecondando un moto d’opinione che, a sua volta, risponde ad uno stato d’animo diffuso quanto irriflesso.
Tutto ciò è di grande interesse poiché segnala – a prescindere dal caso specifico – come, in generale, oggi, nel bel mezzo della civiltà della comunicazione, siamo immersi in una sorta di bolla che, galleggiando in un’ atmosfera virtuale di suggestioni mediatiche, di opinioni indistinte ed approssimative, rischia di perdere progressivamente contatto con la realtà e la consistenza di ciò che è più autenticamente umano.
Senonché, di fronte ad orientamenti che si ritengano, appunto, gravemente disumanizzanti, non basta la denuncia che, per quanto doverosa, talvolta diventa anche un modo facile di salvarsi la coscienza, crogiolarsi nella propria supposta superiorità morale, abbandonando gli altri nella “geenna” del proprio errore.
Bisogna, piuttosto, argomentare “contro”, ma, anche qui, non per il gusto – in taluni, qualche volta, anche un po’ sadico – di esprimere una condanna che già è nelle cose, ma per aprire la pista di una riflessione più approfondita e comune, per quanto muova da presupposti addirittura antitetici.
Dovremmo imparare a considerare l’ “errore” come lo “sparring partner” che ci allena ad apprezzare più a fondo, nella loro ragione più intima, convincimenti che, spesso, abbiamo solo ereditato per tradizione e dei quali, senza averne, quindi, alcun titolo di merito personale, pur ci capita di menar vanto, eleggendoli ad emblema di una nostra presunta coscienza adamantina.
Ma per fare questo, dobbiamo, anzitutto, entrare nella guardia del nostro interlocutore, cioè indagare, anzitutto, a quali fonti si alimenti il suo pensiero.
Si può presumere di indovinare alcune piste; tutte, però, da esplorare.
Anzitutto, veniamo da decenni di una insistita, martellante rivendicazione individualistica dei cosiddetti “diritti civili” che ha favorito il diffondersi di un costume mentale secondo cui i desideri diventano legge e diritto immediatamente esigibile.
Finisce che la coscienza di ciascuno si stabilisce su un insieme sgranato di volontà personali come una palafitta che, pur raggiungendo una certa stabilità, non arriva però mai ad appoggiarsi su una solida piattaforma rocciosa.
In secondo luogo, l’impressione di onnipotenza che, anche grazie ad una divulgazione scientifica approssimativa quanto enfatica, ci trasmette la tecnica, ha diffuso la convinzione, più o meno messa a tema, ma tenace, che tutto ciò che è tecnicamente possibile, sia per ciò stesso legittimo, anche e forse soprattutto quando si tratti di biotecnologie.
Questo rinvia ad una pericolosa alienazione, tale per cui il focus della legittimità morale di un gesto si sposta dalla interiorità della coscienza di ciascuno alla mera fattualità della tecnica.
Un terzo percorso va tenuto presente, almeno a titolo di ipotesi.
Non vorrei che ci stessimo incamminando verso una sorta di mutazione del codice della genitorialità.
Procreazione assistita, selezione embrionale, editing genetico e quant’altro mischiati e frullati nella testa di alcuni o di molti generano l’idea che un figlio si possa non solo programmare, ma addirittura “progettare”.
In fondo, un figlio è sempre una sfida ed una scommessa; di questi tempi, forse, perfino un azzardo.
In ogni modo, e’ “altro” da te; una donna o un uomo “libero”, dunque imprevedibile in un mondo già imprevedibile di suo; anzi, a tratti perfino minaccioso.
Difficile da crescere, da educare, da “governare”; più oggi di quanto non fosse in altri tempi.
E’ così fuori luogo immaginare – intanto, ma non solo ( tanto più se la legge lo consente e, dunque, se ne assume sostanzialmente la responsabilità) per evitare eventuali gravi patologie trasmissibili geneticamente che rovinerebbero la sua, ma anche la tua vita – che uno il figlio, oggetto del desiderio, se lo possa un attimino congegnare, se non su misura, almeno prendendosi qualche cautela?
Insomma, come dire, “addomesticarlo” un po’, senza consegnarsi del tutto, per quanto il range di variabilità stia tutto nella coppia genitoriale, ad una lotteria genetica impredicibile, per quanto questa sia la prima originaria condizione della liberta’ del nascituro?
Si tratta di un discorso ipotetico che pure traccia, se non altro, segmenti di un qualche percorso mentale che comincia a prendere forma in alcune enclave di opinione pubblica.
Considerazione conclusiva: i tre punti considerati suggeriscono, anche al di là del loro merito specifico, come oggi tutti gli argomenti a forte valenza etica – segnatamente in campo biotecnologico ed, in particolare, le questioni che attengono il nascere ed il morire – hanno un fortissimo impatto antropologico, cioè esercitano una violenta pressione sui processi di autocomptensione, su quella rielaborazione della concezione di sé, della vita e della storia che anche l’ umanità del XXI secolo è chiamata ad affrontare.
Per questo si tratta di tematiche da maneggiare con grande cautela e con una riflessione comune, si sia credenti o meno.
Domenico Galbiati