Una multinazionale inglese decide di licenziare senza avere il coraggio di un confronto diretto con i dipendenti. Quello che scandalizza di più è proprio lo strumento utilizzato dalla Gkn: una mail, perentoria nel tono e nel contenuto, che qualche operaio ha scambiato addirittura per uno scherzo.

Il capitalismo liberista inglese – non da ora  ubriaco di  totali e assolute  libertà –  non si smentisce. Stravolge in maniera banale, alcuni elementari tratti di solidarietà umana e di buon gusto, che hanno da sempre caratterizzato  l’autentico liberalismo, quello rispettato persino dal sacerdote Luigi Sturzo. Ma non si smentisce. Oggi tuttavia rappresenta un pericoloso e tragico modello per quanti si ispirano ai suoi insegnamenti. A cominciare dall’Istituto italiano Bruno Leoni, innamorato della scuola economica viennese liberista, che  facendo leva sul suo fondamentale “individualismo metodologico”, trascura totalmente il contesto sociale e culturale, la comunità  e i mondi della vita in cui è immersa ogni persona umana che vive in relazione. Un paradigma di analisi sociologica che fa partire tutto dall’individuo isolato, che cura ed è attento solo e soltanto ai  propri interessi individuali privati,  a  quelli del  mercato, a quelli della sua impresa.

Tutto il resto non conta. Ove in questo resto, sono compresi le sorti di  lavoratori dipendenti, i loro genitori, le loro famiglie e i loro figli, il loro futuro destino: merce inutile e da scartare  appena si può guadagnare qualche sterlina in più o quando c’è  puzza di crisi. “…La nostra filosofia è conosciuta sotto molte etichette” – recita il portale dell’Istituto – “liberale”, ”liberista”, ”individualista”, “libertaria”…” ma soprattutto attraverso “…la fedeltà a Lord Acton e alla sua  libertà individuale“. Chiarite grosso modo le  finalità, le idee portanti, e la… “filosofia” dell’Istituto, fatte proprie e  sposate in qualche modo anche dai sudditi della regina Elisabetta e al di là dell’Atlantico, possiamo capire meglio i comportamenti di alcuni disinvolti magnati, Paperoni del Regno, che decidono all’improvviso del destino di intere comunità attraverso un clic digitale. Altra cosa, diciamo la verità, dai 3 o 4 super ricchi capitalisti Usa, che come ha fatto il proprietario di Amazon preferiscono investire miliardi di dollari nella costruzione di una inutile  navicella spaziale, per poter giocare e divertirsi solo per 15 minuti attorno alla terra, facendo pagare un biglietto 28 milioni di dollari  a chi voleva provare questa emozione.

Fatti loro privati si dirà. Che non abbiamo nessun diritto di criticare. Giusto. Ma fatti offensivi lo stesso.

Ma perché mi sono dilungato? Perché è proprio tutto questo che sta alla base del nuovo capitalismo ultraliberista in rigoglioso sviluppo, disinteressato del clima, degli alberi, delle donne e degli uomini. Dei poveri. Che fa saltare sulla sedia il marxista Bergoglio, quello della “stessa barca” per intenderci, e colloca tra i ferri vecchi la sua solidale  Dottrina Sociale sempre attenta agli ultimi e agli indifesi. Che partendo  dalla  Thatcher,  nemica giurata delle aziende pubbliche e di quel Keynes antimarxista dichiarato, secondo il quale tuttavia “…il capitalismo non è giusto”, arriva sino all’antieuropeista Boris Johnson. Ma che si può financo leggere ben sfumato sulle colonne del “Corriere della Sera”, attraverso gli articoli di Angelo Panebianco, che non perde mai l’occasione di ricordarci le sue virtù, raccomandando sempre allo Stato di starsene ben nascosto e in silenzio. Forse anche durante le epidemie.

Ma vediamo cosa è successo in questi anni.

È successo che l’originario capitalismo industriale conosciuto a Londra dal giovane Marx, che bene o male creava la “borghesia utile”, ovvero posti di lavoro e ricchezza (anche) da distribuire, oggi non solo ha fatto scomparire  del tutto la borghesia e il proletariato, ma si è completamente trasformato in anarco-capitalismo finanziario digitale, tutto nelle mani dell’1% dei super-ricchi del mondo, collegati 24 ore al giorno attraverso i computer con Wall Street (New York) e LSE (Londra). Un nuovissimo capitalismo controllato da amministratori delegati strapagati, pronti ad ubbidire agli ordini superiori fregandosene delle conseguenze umane e sociali delle loro scelte. Del tutto ignari di quello che succede nei Paesi dove operano i rispettivi insediamenti aziendali, riescono tuttavia a influire profondamente sul tessuto sociale e democratico, indifferenti alle conseguenze che pure tale impatto genera.

In cima a tutto stanno gli interessi degli azionisti e della proprietà, mai quelli dei lavoratori, poiché lo stato sociale e il welfare non fanno parte delle premure degli oltranzisti epigoni della scuola viennese, con a capo storicamente Von Mises. Pensano insomma a uno Stato che non deve rompere le scatole e deve mantenersi giocoforza il più lontano possibile dagli affari individuali, dato che solo l’individuo isolato, secondo questa dogmatica del progresso, può creare  ricchezza.

Diamo uno sguardo all’Inghilterra. Una Nazione, quella inglese, che in rapporto con l’Europa vuole comunque restare separata, viaggiando da sola, perché in fondo si sente…superiore! Il capitalismo d’Oltremanica, anche dopo l’esperienza della Thatcher, continua a ostentare piena fiducia nei suoi spiriti animali, trasferendo alla società la percezione di un orgoglio senza vincoli. Ecco dunque un Regno (United Kingdom) che anche nelle competizioni sportive vuole sempre arrivare primo, non accettando mai il secondo posto, poiché anche nel caso in cui la sorte decreti l’attribuzione del posto d’onore, rifiuta sdegnosamente la medaglia di riconoscimento facendo capire che perfino la nazionale di calcio deve essere sempre prima, ovvero sempre superiore.

Mi sono allungato un poco e ho persino divagato. Senz’altro. Ma perché questa lunga predica? In realtà sono convinto che senza la spiegazione qui abbozzata non si capirebbe neppure il comportamento a dir poco schiavista della Gkn, una multinazionale speculativa inglese, con sedi in circa 20 paesi del mondo, che pensa solo a fare soldi e controlla la fabbrica di ricambi a Campi Bisenzio, comune della città metropolitana a poca distanza da Firenze. Ad essa si deve lo spettacolo dei licenziamenti digitali, che ha messo sul lastrico solo attraverso un  veloce messaggino di 5 lettere ben 422 lavoratori con altrettante famiglie: “Fired: Licenziato. Più o meno questo, senza ulteriori spiegazioni. Non importa che a seguire lo spettacolo sia continuato con l’incredulità, i pianti, i drammi umani, le sofferenze dei licenziati che in quella fabbrica vi  lavoravano da oltre 20/25 anni. E persino con le invettive  dell’arcivescovo di Firenze Bettori, il quale ha ricordato che dietro quel clic digitale ci sono di mezzo persone, genitori anziani, figli. Inascoltato, l’alto prelato, assieme del resto all’utopia cristiana della “Fratelli tutti”, disattesa  nella logica inglese del “…prima i miei interessi”.

Intendiamoci, in Italia e nel mondo ce ne sono sempre stati, di licenziamenti. E anche nella prospettiva del telelavoro, ce ne saranno ancora. Ma ci tengo a ripetermi: quello che scandalizza di più in questo caso è proprio lo strumento utilizzato dalla Gkn: una mail, perentoria nel tono e nel contenuto, che qualche operaio ha scambiato addirittura per uno scherzo. Un gesto che ha fatto a meno del coraggio civile e del buon gusto, forse perché i suoi artefici hanno temuto le reazioni inevitabili a tutela di elementari diritti umani. Non si era mai visto. Purtroppo, sembra quasi che il digitale e il controllo a distanza delle nostre vite e del nostro destino da parte della Rete, con il G5 e quel che seguirà, debba servire anche a questo.

Nino Labate

Pubblicato su Il Domani d’Italia

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