Ha ragione Giorgio Merlo che, in un suo recente articolo, osserva come la “questione cattolica” abbia nuovamente fatto irruzione nel dibattito pubblico del nostro Paese. Tutte da discutere, invece, le sue conclusioni che lo sbocco dei cattolici debba definirsi nella collocazione nel Pd( CLICCA QUI ).
In ogni caso, la questione è stata posta in maniera inedita rispetto al passato. Soprattutto, da quando è entrata in scena l’iniziativa di Politica Insieme che, sulla ipotesi di dare vita ad un “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana e popolare, sta creando una convergenza con altri gruppi interessati ad avviare una fase  di trasformazione della vita sociale e politica del nostro Paese.
Questo avviene oggi; non ieri o ieri l’altro. Ci sono evidentemente un fermento nuovo e un’ attenzione inedita e, anzi, per più aspetti, perfino la risposta a una domanda. Quella, per quanto appena abbozzata ed ancora frammentaria, proveniente da certi ambienti laici che avvertono come il mondo cattolico custodisca una riserva di idealità e proposte cui sarebbe importante, anche per loro, poter attingere, ovviamente secondo forme rispettose della loro inflessione culturale.
Poiché in politica è proibitivo arrivare fuori tempo ed è talvolta peggio se ciò avviene anticipando, piuttosto che ritardando determinate soluzioni, sta forse qui il motivo per cui sono miseramente falliti i numerosi tentativi di animare una nuova presenza cattolico-democratica, quella che Merlo puntigliosamente enumera.
Prove, almeno talune, generose il cui limite è stato, con ogni probabilità, anzitutto, la pretesa – giustamente stigmatizzata ancora da Merlo – di riprodurre la Democrazia Cristiana in formato “bonsai”. Cosa a cui non pensiamo assolutamente noi.
Infatti, la straordinaria esperienza politica della Democrazia Cristiana è stata – nel senso in cui usano questo termine i fisici – una “singolarità” della storia, cioè un fenomeno reso possibile una sola volta e solo dalla contestualità di una pluralità di condizioni, ognuna delle quali del tutto particolare, cosicché, a maggior ragione, il loro insieme ha finito per essere talmente improbabile, da risultare in nessun modo riproducibile.
Anche per questo, la DC non ha bisogno di una sorta di accanimento terapeutico – addirittura avvilente ed offensivo – diretto a farla sopravvivere a se stessa. Né di tempi supplementari per affermare il suo ruolo storico.
Dato che il pluralismo politico dei cattolici è un dato acquisito e positivo su cui non è necessario tornare, dovremmo imparare – qualunque sia l’opzione che ciascuno di noi coltiva – a rispettarci reciprocamente e, dunque, coltivare quello spirito di amicizia e di fratellanza che impedisca a chiunque di imputare all’altro posizioni o motivazioni che non corrispondano al suo effettivo orientamento.
Per quanto ci riguarda – e ci auguriamo che se ne prenda finalmente atto – non siamo mossi da nessuna nostalgia passatista e, meno che mai, integralista o clericale come potrebbe far pensare l’astorica e infondata ipotesi di dare vita al cosiddetto ” partito cattolico”. Cosa che neppure il Partito Popolare di Sturzo o la Dc di de Gasperi e Moro sono stati.
Sappiamo bene che al fine di affermare la “continuita’”ideale e storica della cultura politica del cattolicesimo popolare e democratico – l’ obiettivo sostanziale da conseguire, nel segno di un oggettivo arricchimento civile del Paese – è necessario operare una netta, chiara e consapevole “discontinuita’” – che pur non significa affatto ripudio. di quelle sue forme storiche contingenti, fin qui succedute, ciascuna dentro la temperie della stagione che le è toccato vivere, siano esse lo stesso Partito Popolare  o la Democrazia Cristiana.
La forza che intendiamo costruire, alimentata dalla visione cristiana dell’uomo, della vita e della storia – così da proporne, sul piano politico, l’intensità umana e civile che le appartiene, anche a chi cattolico non si sente – è tutt’altra cosa. Nulla ha da spartire con un arroccamento autoreferenziale in una identità altera e marmorea, incapace di cogliere il senso vivo della novità sociale.
Dobbiamo evitare di rivestire l’interlocutore di panni non suoi, magari per averlo più facilmente a tiro. E’ giusta e comprensibile la preoccupazione di Giorgio Merlo circa lo scarso appeal elettorale delle presunte formazioni di area cattolica che hanno tentato la prova del consenso nell’ultimo quarto di secolo. Peraltro, non riteniamo che la legittimazione dell’impresa cui attendiamo debba discendere meccanicamente dalla presunzione di consenso elettorale che possiamo credibilmente immaginare oggi.
La storia reca, d’altra parte, esempi di forze addirittura perverse che sono giunte al potere sull’onda di un grande successo elettorale e, per contro, di forze minoritarie che non hanno mai penetrato, oltre una misura modesta, l’opacità dei rispettivi sistemi politico-istituzionali che pure hanno illuminato di valori irrinunciabili.
Se Sturzo avesse ragionato sulla base dei sondaggi d’opinione che forse allora fortunatamente non c’erano, avrebbe mai fondato il Partito Popolare?
Sappiamo di essere una minoranza, ma “attiva”, che non persegue disegni o operazioni di potere, ma piuttosto un compito di verità.
Ad ogni modo, l’articolo di Merlo cui mi riferivo offre almeno altri due spunti rilevanti su cui è necessario tornare: i motivi dell’ampio orientamento a destra dell’elettorato cattolico e le ragioni di quello che Giorgio chiama il partito “plurale”.
Per parte nostra, vorremmo stringere i tempi di questa – peraltro indispensabile – riflessione “intra moenia”, per orientarci decisamente a quel che abbiamo chiamato “fase due”, il momento della elaborazione programmatica.
Nel frattempo, possiamo offrire un concorso non banale ad orientare, lontano dai toni della rissa fine a se stessa, il clima del confronto politico, se intanto tra cattolici, pur osservando orientamenti diversi, adottiamo un atteggiamento di serenità e di rispetto reciproco.
Domenico Galbiati

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