Il Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza presieduto dalla Prof.ssa Chiara Saraceno ha illustrato in una conferenza stampa le dieci proposte per la riforma del Reddito di cittadinanza. Proposte che confermano le anticipazioni circolate nei giorni precedenti, frutto di un lavoro di analisi svolto sull’impatto dell’intervento, che fanno leva sulle dichiarazioni Isee presentate dalle famiglie per beneficiare delle prestazioni assistenziali, che viene documentato nella relazione generale resa disponibile sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Per rimediare, almeno in parte, a tali omissioni, largamente riscontrate anche nelle analisi effettuate da alcuni Centri di ricerca, il Comitato propone di modificare i criteri di selezione dei beneficiari modificando la scala di equivalenza, utilizzata per stimare il reddito delle famiglie sulla base del numero delle persone a carico (che parte da una base di 6.000 euro anno per i nuclei composti da una sola persona) aumentando il coefficiente per i minori a carico dall’attuale 0,2 allo 0,4, parificandolo a quello degli adulti, ed elevando il massimale di incremento dall’attuale coefficiente del 2,1 al 2,8 ( 2,9 per le famiglie con persone disabili).
Per aumentare la partecipazione dei nuclei composti da cittadini extracomunitari, fortemente penalizzata dal requisito dei 10 anni di residenza richiesto per accedere al Rdc (nell’indagine dell’Istat gli immigrati rappresentano il 30% del totale delle persone in condizione di povertà assoluta), viene proposto di dimezzare il requisito a 5 anni di residenza. Giova evidenziare che sul merito è atteso un pronunciamento della Corte Costituzionale per la presunta violazione dei diritti di accesso alle prestazioni sociali per i cittadini stranieri extracomunitari.
Le proposte avanzate dal Comitato, a prima vista, offrono un riscontro a buona parte delle critiche avanzate al Rdc, oggetto di rilievi già evidenziati da numerosi esperti nel corso dei lavori parlamentari per l’approvazione della legge istitutiva.
Sul piano politico le proposte si discostano dai propositi riformatori annunciati dal Governo, in particolare dall’esigenza di rafforzare i controlli preventivi sulle domande per ridurre gli abusi e di rafforzare le condizioni per l’accettazione delle offerte di lavoro da parte dei beneficiari del Rdc che risultano occupabili.
Il primo aspetto non è stato nemmeno preso in considerazione nelle valutazioni effettuate dal Comitato. Una carenza degna di nota, data la palese sovraesposizione del numero dei beneficiari effettivi del Rdc nelle regioni del Mezzogiorno, rispetto a quelli potenziali stimati nell’indagine Istat sulle persone in condizioni di povertà assoluta utilizzata per motivare l’adozione del Rdc.
Il tema viene genericamente ricondotto all’improvvisazione degli adempimenti dovuta all’urgenza di avviare il provvedimento (trascurando che nel frattempo era già vigore il Reddito di inclusione per le medesime finalità), e dalle conseguenze generate dall’emergenza Covid sul tessuto economico-sociale, e nella gestione concreta dell’intervento.
Le proposte finalizzate a rendere più efficaci le politiche attive per il lavoro confermano l’esigenza di un approccio più consono alle caratteristiche di bassa occupabilità delle persone e dell’offerta di lavoro concretamente disponibile. Ma l’analisi contenuta nella relazione finale sull’impatto del provvedimento nel mercato del lavoro è del tutto inadeguata. Trascura le dinamiche concrete della domanda e offerta e l’impatto del lavoro sommerso nelle aree territoriali, nei settori di attività e nelle mansioni che interagiscono con le caratteristiche dei bacini di intervento del Rdc.
Questo tema si ripropone anche sul versante delle analisi dell’impatto degli interventi per ridurre il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta e l’intensità della povertà stimata sulla distanza dei redditi o dei consumi effettivi dalle soglie utilizzate per stimare il fenomeno.
La relazione del Comitato produce un numero cospicuo di simulazioni elaborate sulla base del campione delle dichiarazioni Isee inferiori ai 9.360 euro anno, considerate come il bacino potenziale dei beneficiari del Rdc, e per valutare gli effetti delle proposte finali. Il metodo adottato, per quanto apprezzabile, risente della precaria credibilità delle dichiarazioni Isee effettuate in regime di autocertificazione da parte dei nuclei familiari che inoltrano le domande per beneficiare dei provvedimenti assistenziali, sottolineato dalle indagini a campione della Guardia di Finanza, e della mancata dichiarazione dei redditi sommersi.
Giova ricordare che, per questi motivi, il metodo utilizzato dall’Istat per stimare le persone in condizioni di povertà assoluta viene basato sulla valutazione dei livelli reali di consumo delle famiglie su un paniere di prodotti e servizi ritenuti indispensabili e non dei redditi e dei patrimoni formalmente dichiarati.
Sulla base delle simulazioni e delle proposte precedentemente richiamate, il Comitato scientifico quantifica un potenziale aumento di 133 mila nuclei beneficiari per effetto della revisione dei criteri di partecipazione, e di altri 68 mila per il dimezzamento dei requisiti di residenza degli stranieri. E un aumento degli importi medi erogati per le famiglie numerose e con figli minori a carico. Un’evoluzione che comporta una crescita della spesa finale di circa 1,5 miliardi rispetto agli 8,8 stimati per l’anno in corso e confermati nella proposta di Legge di bilancio per il 2022.
Le proposte avanzate da Comitato, e l’incremento della spesa per il Rdc, comportano una serie di conseguenze politiche.
La prima riguarda gli obiettivi della riforma. Nella valutazione del Governo l’attuale sistema si presta ad abusi, e gli interventi devono essere finalizzati a contenere la spesa. Per il Comitato scientifico (e il ministro del Lavoro?), la riforma dev’essere orientata ad aumentare il potenziale dei beneficiari e l’entità della spesa. Trascurando, tra l’altro, la necessità di correggere in modo significativo i criteri che avvantaggiano la partecipazione delle persone single, e il fatto che nel frattempo è stato introdotto l’assegno unico per i minori a carico delle famiglie fiscalmente incapienti e di quelle straniere, che produce effetti superiori alla revisione della scala di equivalenza proposta dal Comitato.
Il secondo tema politico riguarda il valore da attribuire alle stime effettuate dall’Istat, prese a riferimento per introdurre il Rdc, ma sostanzialmente ignorate per valutare l’impatto dello stesso. Singolare il fatto che l’Istituto di statistica nazionale non sia stato coinvolto nelle nomine degli esperti e nelle audizioni dei lavori preparatori del Comitato.
L’istituzione di quest’ultimo, voluto dall’ex ministro del Lavoro, nonché esponente del M5S Nunzia Catalfo, e soprattutto le nomine dei componenti, sono state principalmente veicolate verso gli esponenti sostenitori ante litteram del Rdc.
Il sospetto che il Comitato in questione abbia offerto una lettura parziale del provvedimento e svolto nei fatti il ruolo di avvocato di ufficio del Rdc è tutt’altro che infondato.
Natale Forlani