Se perfino i friulani disertano le urne, la questione si fa seria. Anche loro, in maggioranza – significativa maggioranza – si sottraggono al voto perché lo avvertono come un rito inutile. Ciascun elettore vanta una propria ragione, ma questo sentimento di estraneità rappresenta il “minimo comun denominatore” in cui sostanzialmente tutti gli astenuti si riconoscono.

Avvertono come vi sia una sorta di sovrastruttura che o decide per conto suo, secondo logiche intestine insondabili, oppure, addirittura, a fronte dei temi strutturali più rilevanti, a cominciare dalle relazioni internazionali, è “agita” da forze che sono fuori dal suo controllo. Il nostro sistema politico-istituzionale assomiglia ad una “enclave”, una cittadella cinta dalle proprie mura e circondata da un territorio, che, per un verso, l’ assedia, per altro verso, la guarda con indifferenza, se non con astio.

Che soluzioni adottare per dare risposta a questa incomunicabilità? Entrare al “centro” dell’ enclave per cercare di ristabilirvi l’equilibrio smarrito? Oppure aprire delle brecce, abbattere le torri, via via sgretolare le mura per ricreare l’osmosi perduta? Riformare oppure, con un’operazione più radicale, “trasformare”, come recita il Manifesto originario di INSIEME (CLICCA QUI)?

In ogni caso, è necessario “restituire l’Italia agli italiani”, come primo passo per riaccendere la coscienza di un comune destino nazionale ed europeo di cui valga la pena prendersi cura, investendovi la propria responsabilità. Occorre liberare l’Italia dall’ ossessione bipolare e consentire che i cittadini possano esprimere il loro orientamento plurale attraverso forze il cui disegno politico segnali la cultura di fondo che le sorregge. Perché, in definitiva, è su quest’ ultima che vale la pena esprimersi, quindi su una visione prospettica, su un disegno di lungo termine e non coartando empiricamente il proprio consenso alla prassi del momento contingente.

Purtroppo, siamo, al contrario, in presenza di posizioni politiche che, dall’ uno all’ altro dei due schieramenti, si definiscono, più che sul presupposto dell’ argomentazione che ne da’ conto, in funzione dell’ antitesi che ciascun interlocutore riesce ad esprimere nei confronti dell’ altro, attestato, a sua volta, sulla posizione contrapposta. In un Paese articolato come il nostro, alla lunga la logica bipolare regge solo a prezzo di una progressiva estremizzazione, come sta avvenendo.

Né aiuta la spettacolarizzazione della politica che ne scompone la filigrana tematica e la comprime nel linguaggio televisivo. Quest’ultimo finalizzato a mantenere l’ audience, frammenta l’argomentazione, non le consente di dispiegarsi per dar conto della complessità del tema, la imprigiona in aforismi e slogan. Se, per un verso, il pensiero struttura il linguaggio, per altro verso, il linguaggio può deformare il pensiero e la politica, la comunicazione dei suoi contenuti, la coerenza interna delle posizioni espresse, la loro comprensione ne soffre pesantemente. Non a caso, un esame attento del linguaggio prevalente ne mostra una intonazione, in un certo senso, necessariamente aggressiva, per niente duttile, al contrario puntuta e percorsa da una sorta di violenza, sia pure camuffata, talvolta mal trattenuta. E tutto questo allontana dalla politica e sospinge l’astensionismo.

Domenico Galbiati

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