La proposta del Ministro del lavoro, Andrea Orlando,  di vincolare gli aiuti economici alle imprese a fronte della disponibilità delle loro associazioni di rappresentanza di rinnovare i contratti collettivi ha scatenato una serie di reazioni polemiche, interpretate dalla dura presa di posizione del Presidente della Confindustria Carlo Bonomi che ha paragonato le intenzioni del Ministro a un inaccettabile ricatto. 

Nei giorni recenti, l’esigenza di intervenire con degli sgravi contributivi e fiscali sul costo del lavoro per aumentare i salari netti dei lavoratori per la finalità di sostenere il potere d’acquisto rispetto all’inflazione era stata condivisa da un ampio fronte di forze politiche e sociali, ivi comprese le rappresentanze del mondo imprenditoriale. Un intervento di questa natura avrebbe il pregio di rendere compatibili gli incrementi dei salari netti con il contenimento dei costi del lavoro per le imprese, già gravate dagli aumenti dei prezzi energetici e di altre materie prime, offrendo un contributo alla tenuta dei consumi e alla competitività delle imprese. 

Il punto debole è rappresentato dalla concreta possibilità di sforare ulteriormente i vincoli della spesa pubblica autorizzati dal Parlamento, tenendo conto della mole di sostegni già preventivati per contenere i prezzi finali dell’energia e di provvedimenti che dovranno essere assunti nei prossimi mesi per tutelare il valore reale delle prestazioni sociali, a partire dalle pensioni. 

All’interno di questa cornice non si comprende quale possa essere il contributo offerto dalle intenzioni del ministro Orlando. Da un lato, il problema della tutela dei salari reali non riguarda solo i 7,5 milioni di lavoratori interessati dai rinnovi contrattuali in gestazione, ma anche quelli, oltre 5 milioni, per i quali sono già stati rinnovati sulla base di previsioni inflazionistiche più contenute e per i quali permane l’incertezza sulla possibilità di recuperare le differenze. La stragrande parte dei contratti già rinnovati riguarda soprattutto quelli delle associazioni settoriali rientranti nel perimetro della Confindustria. 

Nel mentre, dovrebbero essere rinnovati anche i contratti collettivi dei lavoratori dei comparti della Pubblica amministrazione, che vedono nella veste di principale datore di lavoro lo Stato, che allo stato attuale non ha ancora reso evidente le sue intenzioni (nelle previsioni del Def approvato dal Consiglio dei ministri le coperture finanziarie per lo scopo vengono limitate alle indennità di vacanza contrattuale).

I rinnovi contrattuali devono inevitabilmente fare i conti con gli andamenti specifici di ogni settore, con le variabili estremamente diversificate e rese più complesse per la combinazione degli effetti della pandemia e delle tensioni internazionali. Condizioni che non fanno venir meno l’esigenza di offrire un paracadute per la tutela dei salari dei lavoratori dei settori più esposti alle conseguenze della crisi, ma che inevitabilmente comportano una ponderazione specifica da parte delle rappresentanze sindacali interessate destinate a influenzare i contenuti e le tempistiche dei rinnovi.

Rimangono comunque sullo sfondo due problemi di fondo non aggirabili anche per le parti sociali. L’intervento dello Stato si giustifica nell’ambito di un comportamento coerente delle politiche salariali rivolto a contenere l’impatto inflazionistico evitando una rincorsa tra prezzi e salari che comporterebbe una perdita di competitività degli apparati produttivi e un aumento degli squilibri distributivi a danno dei soggetti più deboli della società. Il tema della sostenibilità temporale di questo intervento, non inferiore ai 20 miliardi l’anno se si tiene conto degli sgravi contributivi sul costo del lavoro, delle coperture aggiuntive per i rinnovi dei contratti della Pubblica amministrazione e della rivalutazione delle pensioni, non può essere aggirato a cuor leggero.

Per queste motivazioni il proposito di costruire le condizioni di un nuovo Patto sociale ha un senso se non viene delimitato ai provvedimenti di sostegno emergenziali posti a carico dei contribuenti, ma se diventa il collettore degli interventi e dei comportamenti finalizzati a favorire una stagione di crescita dell’economia e dell’occupazione. Recentemente abbiamo cercato di evidenziare come sia possibile, con il sostegno di provvedimenti fiscali, articolare alcuni interventi rivolti a contenere l’inflazione, e a tutelare i salari reali contrattuali nazionali, con quelli di medio periodo finalizzati ad agganciare la crescita dei salari legata a quella della produttività (CLICCA QUI).

Su questo fronte pesa in negativo la scarsa qualità del dialogo tra le parti sociali, ma anche l’oggettivo stato di confusione mentale di un Ministro del Lavoro che pensa di risolvere qualsiasi problema allargando le maglie della spesa pubblica assistenziale e introducendo vincoli per le imprese per la gestione del personale. Con il risultato di galvanizzare le rivendicazioni di nuovi interventi a carico dello Stato da parte delle rappresentanze sociali e di aumentare i conflitti al loro interno.

Natale Forlani

About Author