Percorsi di Secondo Welfare ha pubblicato il seguente articolo sul salario minimo
Il 7 giugno 2022 si è raggiunto l’accordo tra la Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio sul salario minimo legale nell’Unione Europea. Tale decisione ha riacceso il dibattito sull’utilità di introdurre questa misura anche nel nostro Paese. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di salario minimo? Quali sono gli obiettivi della misura? Quali i possibili effetti?
In breve, il salario minimo è “legale” se il compito di determinare il livello minimo dei salari è attribuito alla legge. Ma il ruolo di definire i salari minimi – o minimi tabellari – può essere affidato anche alla contrattazione collettiva, come accade ad esempio in Italia. Saperlo è importante, anche perché la scelta se assegnare il compito alla normativa o ad accordi tra parti sociali è coerente con le tradizioni dei sistemi di relazioni industriali nei singoli Paesi. La materia salariale è infatti saldamente di competenza nazionale mentre l’Europa, in particolare attraverso il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e, appunto, il recente accordo di giugno, si limita a richiamare il diritto ad una retribuzione equa e sufficiente, fissando i principi per determinare il salario minimo.
Per questi motivi è dunque importante capire meglio i termini della questione. Proviamo a farlo in questo articolo.
Cos’è il salario minimo?
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), il salario minimo è l’ammontare di retribuzione minima che il datore di lavoro deve pagare ai propri dipendenti per una determinata quantità di lavoro (oraria, giornaliera, settimanale o mensile).
Tuttavia, con il termine “salario minimo” si fa riferimento a due concetti distinti: i minimi tabellari e il salario minimo stabilito per legge (o legale). I minimi tabellari sono fissati dalla contrattazione nazionale e sono differenti a seconda dei comparti in cui è suddiviso il mondo del lavoro. I tabellari indicano la retribuzione minima per chi lavora in un determinato settore e sono relazionati alla ricchezza che il settore può redistribuire e ai risultati generali (le c.d. premialità) del comparto di riferimento. Il salario minimo legale rappresenta invece la condizione minima garantita universalmente dalla legge, con finalità di assicurare a chiunque lavori un trattamento che prescinda dalle condizioni contingenti dell’impresa e del comparto.
Il salario minimo legale si contraddistingue dunque per la natura imperativa e universalistica della misura: essa non può essere, in alcun modo, ridotta né da accordi collettivi né da contratti privati. Si tratta dunque di una soglia limite di retribuzione sotto la quale il datore di lavoro non può scendere. Neanche previo accordo con i sindacati. Lo Stato interviene nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari – operata dal mercato – al fine di incrementare le retribuzioni di coloro che sono in fondo alla scala salariale.
Per queste ragioni, il salario minimo legale è spesso considerato come uno strumento di contrasto alla povertà. E, nello specifico, esso si classifica come un importante istituto per alleviare la povertà lavorativa, soprattutto per le categorie professionali con contratti meno tutelanti rispetto a quelli “standard”. Tale contrasto avviene attraverso la garanzia assicurata, da parte della legge, a tutti i lavoratori di una giusta e decente remunerazione per il lavoro svolto.
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Celestina Valeria De Tommaso