Proseguiamo con l’intervento di Mauro Mattiacci dopo la prima parte pubblicata ieri ( CLICCA QUI )

DISUGUAGLIANZE
Tra le evidenze emerse in questo difficile momento che ci ha costretto a vivere la pandemia,
spiccano, nel contesto emergenziale, le famigerate disuguaglianze tra gli italiani per quanto riguarda
l’accesso alla sanità, e più in particolare la diversità di trattamento di cui possono usufruire quanto
a medicinali e prestazioni specialistiche. E’ un problema che si trascina da tempo, ben prima della
pandemia. E’ arcinota l’immagine delle due Italia, distinte tra nord del Paese e sud, tra ricchi e
poveri, così come è famosa la forbice tra tecnologie all’avanguardia di cui sono dotate le strutture
del settentrione e lo stato penoso in cui versano certe strutture del meridione, una forbice che si
allarga in modo quasi esponenziale rispetto ai progressi della scienza medica, della bioingegneria,
della biotecnologia.
Se ne è parlato molto in questi anni eppure ancora oggi si fa tanta demagogia ma quanto a
soluzioni… Intanto credo sia bene precisare come vengono individuate queste disuguaglianze. Sono
innanzitutto relazioni di disparità tra le persone, tra le regioni, tra i servizi, tra le aziende, persino
tra gli operatori, da non confondere però con le “differenze” che, al contrario, sono solo oggettive
caratteristiche della realtà. Come relazioni di disparità, le diseguaglianze sono un problema prima
di tutto di giustizia, e l’ingiustizia è una questione prevalentemente politica morale sociale e
culturale.
L’ingiustizia, in sanità, è per definizione “immorale” e si ha quando:
– viene violato il diritto alla salute dell’individuo,
– sono ignorate le legittime aspirazioni di salute delle persone,
– i bisogni di cura delle persone sono prevaricati, sopraffatti, condizionati da qualcosa compreso tra:
l’insufficienza delle risorse, l’incapacità di chi gestisce o di chi opera, il sopruso e il malcostume.
Sono immorali, perché causano sempre la negazione dell’essere, della vita, della vitalità delle
persone. Sono ingiustizie che uccidono, fanno soffrire, limitano, menomano, tolgono autonomia,
impoveriscono, cioè fanno spendere soldi, e nello stesso tempo arricchiscono altri, fanno
sopravvivere altri di più, ad altri offrono di più. La misura dell’immoralità è misurata
dall’epidemiologia: tassi di morbilità, di mortalità, morti evitabili, indice di sopravvivenza, attesa di
vita, numero di anni in salute nella vecchiaia, ecc.
Ad onor del vero il Ministero della Salute ha tentato di affrontare questa problematica ed ha cercato
di ovviarvi con l’introduzione dei lea e con il documento varato dalla Lorenzin sul finire del suo
mandato, pieno di grafici capaci solo di fotografare l’insostenibilità di questa situazione.
La vera idea politica, trattandosi di vita e di morte, dovrebbe essere molto semplice: concretezza
del diritto alla salute uguale per tutti, indistintamente. Non si è più giusti se anziché far perdere ai
cittadini del sud tre anni di aspettativa di vita se ne fanno perdere solo due. Alla fine i cittadini del
sud sempre due anni di vita perdono.
E poi “ridurre” o “eliminare” le diseguaglianze sono due politiche, tra loro, molto diverse.
– nel primo caso le diseguaglianze sono considerate inevitabili e quindi si persegue, a valle,
l’obiettivo della perequazione (fondi di solidarietà, di compensazione, criteri di ponderazione, ecc.),
– nel secondo caso, al contrario, si creano le condizioni, a monte, per non creare diseguaglianze, cioè
le condizioni per avere sul serio parità di diritti.
In realtà dietro alle diseguaglianze di salute nel nostro paese si nascondono tante cose. Prima di
tutto una storia di squilibri che, in 40 anni, neanche con la creazione del SSN siamo riusciti a
recuperare.
Poi delle scelte politiche molto poco ponderate: la riforma del titolo V ha cronicizzato il discorso
delle diseguaglianze, ma anche l’imposizione alle regioni dei piani di rientro non ha scherzato.
La duplice recessione attraversata dall’Italia, nel 2008 con la crisi finanziaria e nel 2011 con la crisi
del debito pubblico, e l’impatto delle conseguenti misure di austerità hanno fatto arretrare
un’economia già stagnante da decenni e causato un ulteriore impoverimento della popolazione. Il
fenomeno ha interessato tutti gli strati sociali, seppur con meccanismi diversi, facendo crescere il
numero delle persone esposte agli effetti negativi sulla salute delle disuguaglianze socioeconomiche. La frequenza della povertà assoluta è aumentata in modo significativo, penalizzando
in particolare i gruppi socialmente più vulnerabili – soprattutto le famiglie numerose, i minori, gli
immigrati, i nuclei monogenitoriali con figli a carico – e le aree del Mezzogiorno. La crisi
occupazionale è stata il principale meccanismo di impoverimento e insicurezza della popolazione
Alle disuguaglianze di salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica: rinunce
alle cure e prestazioni sanitarie a causa della distanza delle strutture, delle lunghe file d’attesa e
dell’impossibilità di pagare il ticket. Tra i 45-64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria
sono pari al 12% tra coloro che hanno completato le scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La
rinuncia per motivi economici è pari tra i primi al 69%, mentre tra i laureati è del 34%. E a essere
penalizzato è il malato che continua ad aver bisogno di assistenza per esempio nel periodo post
ospedalizzazione.
L’Osservatorio sulla salute ha certificato che la sfida del Ssn sarà contrastare queste persistenti
disuguaglianze con interventi e politiche urgenti. “I più rilevanti – si legge nel report – dovranno
riguardare l’allocazione del finanziamento alle Regioni, attualmente non coerente con i bisogni di
salute della popolazione; l’accessibilità alle cure, ancora molto difficile per alcune fasce di
popolazione, da risolvere con soluzioni mirate a mettere in rete tutte le strutture, ospedaliere e
territoriali, e governare centralmente gli accessi in base all’appropriatezza degli interventi e
all’urgenza degli stessi”. Il tema delle disuguaglianze di salute si intreccia con quello della
sostenibilità economica e le soluzioni che circolano poggiano sull’ingresso dei fondi sanitari privati
in grado di affiancare lo Stato per questa importante funzione. Tuttavia – mette in guardia
l’Osservatorio -, l’introduzione di fondi sanitari di natura sostitutiva, sia pure in parte, del sistema
pubblico potrebbe acuire le forti disuguaglianze sociali di cui già soffre il settore. “Molte le incognite
che stanno dietro questo tipo di strumenti, sia legate ai premi elevati per i cittadini più a rischio, sia
a fenomeni di selezione avversa, cioè esclusione dalla copertura assicurativa di alcune tipologie di
persone, quali anziani e malati gravi”. Non meno rilevanti “i rischi di un’assistenza sanitaria di qualità
differenziata a seconda dei premi assicurativi che le persone sono in grado di pagare”. Per gli autori
della ricerca gli attuali divari sociali potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il
nostro welfare, contrapponendo gli interessi di fasce di popolazione insofferenti per la crescente
pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli. Per questo, secondo l’Osservatorio, “sarebbe
auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso
alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro
Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state”.
Come si evince facilmente c’è ancora molto da fare e da fare in fretta.

RSA
Delle RSA non si può certo fare a meno. Ma è altrettanto certo che sia assolutamente necessario
ripensarne il ruolo istituzionale partendo dal tema della “qualità della vita” degli ospiti che spesso si
coniuga col tema dell’assistenza.
325.000 posti letto in strutture residenziali. Una cifra indubbiamente notevole se si considera la loro
destinazione d’uso istituzionale: accoglienza di anziani soli o parzialmente autosufficienti o non
autosufficienti. La parte preponderante di tali strutture è orientata ad accogliere persone anziane
affette da pluripatologie croniche e, quindi, bisognose di cure per rispondere a bisogni di natura
sanitaria e di supporto alle funzioni vitali ma anche non autosufficienti e quindi bisognose di una
risposta assistenziale di aiuto per espletare le più elementari funzioni di cura personale alle quali
deve comunque essere assicurata la possibilità di mantenere vive la capacità di socializzare e la vita
di relazioni.
La popolazione italiana sta progressivamente invecchiando. L’età media ormai è vicina ai 48 anni.
L’allungamento della vita spesso però contempla una lunga fase di progressiva perdita di autonomia
e di cronicità.
L’Istat dice che nel prossimo futuro la popolazione anziana crescerà ulteriormente (+54% degli over
75, +62% degli over 85).
A fronte di una minore tenuta delle reti primarie, le famiglie, è prevedibile altresì un allargamento
delle persone sole e delle famiglie c.d. monopersonali. Molte persone, in sintesi, si troveranno nel
prossimo futuro a vivere da sole la fascia di età successiva ai 75 anni.
Le stime, come anticipato, indicano anche una crescita delle persone ultrasessantacinquenni con
limiti funzionali o patologie che necessitano di qualche forma di cura e di assistenza.
E’ dunque evidente che l’intero sistema di protezione sociale (non solo quello sanitario, ma anche
quello socio-assistenziale e, nel limite del possibile, certamente, anche le famiglie) dovrà prepararsi
a questo cambiamento.
I posti letto per over 65 per ogni 100 abitanti nelle residenze protette sono: Olanda 7,3, Svizzera 6,4,
Germania 5,4, Francia 5, Austria 4,6, Spagna 4,4, Italia 1,9, Grecia 1,8.
Delle RSA, come strutture capaci di farsi carico degli anziani con complesse cronicità e gravi non
autosufficienze, ci sarà sempre bisogno. Forse ci si dimentica che in Italia i posti letto per acuti negli
ospedali pubblici e privati sono 215.000 a cui si aggiungono altri 35.000 posti letto di riabilitazione.
I posti letto nelle RSA sono 285.000 e 40.000 nelle residenze per disabili.
Nella maggior parte dei nostri territori – pur con differenze storiche e culturali – la domanda di servizi
residenziali è di fatto in crescita.
I servizi sociosanitari a livello quantitativo si appoggiano per lo più ad un sistema di strutture
“private” che ricomprende sia gestori religiosi che organismi del Terzo settore.
L’equilibrio economico (in molti casi oggi precario) allo stato è garantito dalla programmazione
regionale (in termini di definizione delle rette a carico del Fondo sanitario, dalle condizioni
economiche delle famiglie e degli stessi anziani assistiti (attraverso le pensioni e le indennità di
accompagnamento ricevute, oltre che da quote di risparmio privato) nonché dall’intervento dei
comuni spesso volto ad integrare le criticità economiche delle famiglie.

Bisogna migliorare il settore trasformando le RSA in centri multiservizi territoriali, in servizi “aperti”
cioè capaci di assicurare interventi al domicilio delle persone anziani fragili insieme a risposte
residenziali protette, in collegamento con le altre realtà assistenziali.
E dovrebbe trattarsi di una rete ampia: dall’assistenza domiciliare (non di poche ore all’anno), ai
centri diurni, ai mini alloggi protetti, alle comunità alloggio, alla teleassistenza e alle RSA. Servizi non
alternativi fra loro ma complementari, capaci di rispondere in maniera differenziata a bisogni
differenti avendo al centro la persona fragile nel suo continuo mutare ed il suo contesto familiare
nelle sue differenze e evoluzioni.
Dovremo riflettere a lungo sulle carenze e sulle mancate risposte rilevate durante la pandemia. Per
troppi anni il Servizio Sanitario Nazionale, di cui il sociosanitario fa parte a pieno titolo, non ha
trovato nei bilanci pubblici la dovuta attenzione. Poco si è fatto anche per la prevenzione nelle
scuole, nei luoghi di lavoro e per le persone a rischio per età o per patologie croniche.
“Insieme” deve trovare la giusta risposta all’appello del Presidente Sergio Mattarella il quale, nel
denunciare che “il mondo dell’anziano è a rischio” ha esortato tutti ad “avviare dei percorsi di
diagnosi e cura per chi è fragile o rischia di diventarlo”. Preservare e curare al meglio gli anziani è
cruciale per il futuro di una comunità che si fregia del titolo di “civile e democratica

Mauro Mattiacci

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