Salvini l’hanno tradito quelli che, a furia di acclamarlo “Capitano”, l’hanno indotto a crederci perfino lui.
Senonche’, il “re travicello”, finalmente salito in cattedra, gli ha rivelato, in maniera rude, ma argomentata, come lui non sia l’ “uomo forte”, ma piuttosto una sorta di “miles gloriosus” ( soldato fanfarone ).
Va detto senza ironia, ma con comprensione e addirittura con rispetto. Intanto, anche nel momento dello scontro politico più crudo, non bisogna mai dimenticare che a viverlo sono delle “persone” e non i burattini del teatro dei pupi o le sagome del tiro a segno.
Le persone, nello scontro, ci stanno dentro non solo con gli schemi più o meno asettici della contesa politica, ma con l’intera gamma delle passioni, dei sentimenti, degli affetti personali. E bisogna saper distinguere.
Papa Giovanni invitava a distinguere tra l’ “errore” e l’”errante” e forse questo ammonimento vale anche sul piano di questioni meno coinvolgenti e drammatiche di quelle cui si riferiva Papa Roncalli.
Noi, peraltro, non dobbiamo lasciarci trascinare nel tritacarne irridente di denigrazioni, anche perché spesso sono boomerang. Ma, soprattutto, se la centralità della persona è per noi in valore, anche così lo si testimonia.
Dobbiamo distinguerci anche su questo piano; rappresentare un punto di possibile valutazione pacata nella canea montante. Siccome nei confronti di Salvini non abbiamo mai esercitato il vizio del “servo encomio”, non siamo tenuti al “codardo oltraggio”.
Purtroppo per lui, ci penseranno altri, magari cominciando da casa sua.
Dirà più di uno che questa lunga tirata è solo uno sterile – e perfino antipatico – esercizio di “buonismo”. Ma non è’ così.
E’ piuttosto il tentativo di riflettere sui processi di formazione e scomposizione delle “leadership”, su cui si sono condotti molti studi. Eppure oggi, nel tempo globalizzato della comunicazione esasperata, del populismo e del sovranismo, assumono caratteri – a cominciare dalla inusitata celerita’ dell’ascesa e del declino – che andrebbero approfonditi. Anche per saperci regolare in seguito, dato che non si tratta di fenomeni unici o di straordinarie singolarità, bensì di casi ricorrenti, al di là di Salvini, anche nel nostro attuale sistema politico.
Il caso di Conte vale al rovescio. In fondo, dice come non abbia torto chi afferma che la politica, pur nel ribollire caotico delle sue manifestazioni informi, sia pur sempre “geometrica”; risponda, cioè, sia pure in senso lato, ad una regola e ad un rigore non sempre manifesto, ma pur efficace.
“Grazia di stato” e studi pregressi, cultura giuridica ed una buona dose, forse inaspettata, di carattere, una esperienza politica breve, ma evidentemente ben metabolizzata con spirito critico, gli hanno consentito di dare una nuova e convincente immagine di sé.
Ma, per tornare a Salvini e ad altri come lui – a cominciare dal suo maestro Bossi che, in tal senso, rappresenta il più classico “ideal-tipo” – di fronte a figure che emergono dall’anonimato ed incarnano, fino ad intestarselo personalmente, un vasto movimento d’opinione, al punto che, traendolo da una dimensione embrionale, per lo più istintiva e sentimentale, gli conferiscono una certa forma compiuta, razionalizzandone, per quel che si può, le pulsioni più’ immediate, c’è seriamente da chiedersi se sia il “leader” a creare il “movimento” o piuttosto il “movimento” ad aleggiare attorno, come un inquieto spirito del tempo, finché non riesca a darsi pace, incarnandosi nel “leader”.
Non si tratta banalmente di ridurre la questione alla irrisolvibile domanda se venga prima la gallina o piuttosto l’uovo, ma sicuramente non è un tema da meri e sfiziosi studi accademici, cercare di capire quale di queste sue dinamiche prevalga sull’altro e in che modo si intreccino inestricabilmente.
Si può – beninteso, senza sconti alle responsabilità personali e senza attenuanti agli errori commessi – azzardare la tesi, per quanto decisamente controcorrente, – ma non è qui il momento di approfondire cosa significhi davvero “leader”, al di là del linguaggio corrente – che certi cosiddetti “leader”, capi o capitani che siano, applauditi e che volentieri applaudono se stessi, fino a smarrire il senso della misura, in effetti non siano che del “malcapitati” cui è toccato, chissà come e chissà perché, essere abitati da un “demone” che li innalza ed, alla fine della fiera, li divora e li sacrifica.
Domenico Galbiati