Ha ragione Mons. Suetta, vescovo di San Remo. Ed ha fatto benissimo a reagire a quanto è andato in scena sul palco del Festival per la ricerca della trasgressione fine a se stessa e pubblicitariamente studiata.  Così che la trasgressione diventa, in realtà, un mero artificio per suscitare un clamore esclusivamente commerciale. Non si può consentire che la religione, il sentimento religioso così fortemente, storicamente radicato nel popolo italiano possa essere impunemente dileggiato ed offeso dal primo bell’imbusto che, in ogni campo, nella politica, ma anche nel mondo dello spettacolo, non avendo molto da dire, cerca il colpo d’immagine.

C’è una tale povertà culturale, una miseria morale, un’ignoranza, per chiamare le cose con il loro nome, da non doverci sorprendere, in fondo, che si arrivi a questi livelli … Ma si può approfittare della più classica manifestazione nazional- popolare, che viene vista da milioni di persone per contraddire quanto moltissime tra loro hanno più a cuore, anzi sentono come fondamento della loro vita e delle loro speranze?

Chi è ad essere offeso? La religione in astratto oppure la sua vitalità incarnata e vissuta negli spettatori, in ognuno nella sua singolarità? I protagonisti di queste esibizioni sono persone veramente libere? Oppure schiave di abiti mentali anzitutto banali e stupidi, profondamente stupidi?

E perché accanto alla voce del vescovo non si alzano altre voci, nello stesso mondo laico, a cominciare dall’interno di una azienda che è la più grande impresa culturale del Paese, votata al servizio pubblico? E’ finita qui o dobbiamo attenderci altre sorprese nelle prossime serate?

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