Come tante vicende italiane l’attuale vicenda referendaria è paradossale, al limite della commedia. Se a prima vista la paternità (di Di Maio) appare scontata, ad una seria ricostruzione tutto appare più indefinito e inquietante.
Ma andiamo per ordine.
Il Movimento 5 Stelle si presenta per la prima volta alle elezioni politiche del 2013 con un programma in “8 punti” nel quale si afferma testualmente “eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo”, nonché “stipendio parlamentare allineato alla media degli stipendi nazionali”.
Nessun accenno alla riduzione dei parlamentari!
Non è quindi un caso che i Cinquestelle guidino con credibilità e successo il fronte del NO al referendum costituzionale sulla riforma voluta da Renzi che prevede anche la riduzione dei parlamentari.
Ancora più interessante è la ricostruzione dei programmi in vista delle elezioni del 2018.
Infatti il quadro si presenta come segue:
1) il Movimento 5 Stelle nel programma in 20 “punti per la qualità della vita degli italiani” sul punto relativo a “tagli agli sprechi e ai costi della politica” conferma lo “stop a pensioni d’oro, vitalizi, privilegi, sprechi della politica e opere inutili”; senza nessun riferimento al taglio dei parlamentari;
2) il PD, evidentemente scosso dall’esito referendario, non tratta la questione;
3) La Lega fa altrettanto indicando in “Federalismo” e “Autonomia” l’orizzonte delle riforme istituzionali;
4) Forza Italia e Fratelli d’Italia fanno un chiaro riferimento alla riduzione del numero dei parlamentari;
5) Non stupisce quindi che il programma unitario del CD faccia uno esplicito riferimento alla riduzione.
Salvo errori (improbabili) è questa l’offerta politica che si presenta alle elezioni.
Senonché, a sorpresa, nel “contratto per il governo del cambiamento” al punto 20 relativo a Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta si concorda “la riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori”.
Non era nel programma del M5S, né della Lega! Dunque sorge la domanda: cosa è successo?
Un gesto di attenzione politica di Salvini agli alleati del CD in fase di abbandono? Un abile se non cinico gesto di “populismo” per sottrarre un tema di sicuro effetto alla Meloni e a Berlusconi? Il risultato di una “abile manina”?
È un mistero che pesa su questa vicenda costituzionale, che vede il popolo chiamato a pronunciarsi su una modifica non prevista nei programmi dei tre partiti di governo della legislatura.
Di contro a tutti è chiaro che dal momento della firma del contratto giallo/verde in poi, il Movimento 5 Stelle, meglio Di Maio, si sono “impadroniti” con straordinaria abilità della problematica, facendone il cavallo di battaglia del tentativo di rilancio, tanto da farne il primo punto “dei 20 imprescindibili… per fare un governo con il PD”!
Perché? Probabilmente, duole ipotizzarlo, per bypassare le crescenti difficoltà relative alla restituzione di una significativa parte delle indennità parlamentari e a maggior ragione di un taglio tout court delle stesse.
Per tutto questo, sapendo di chi è veramente figlio il Sì, non resta che votare con convinzione NO, nella speranza che il DNA democratico del Paese ci riservi una sorpresa.
Antonio Piraino
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