Ho conosciuto David, fiorentino di nascita e romano di formazione, a metà degli anni ‘70. Faceva parte di un manipolo di giovani, poco più che ragazzi, riuniti da Paolo Giuntella nel circolo “Francesco Luigi Ferrari” al quartiere Prati. Aveva il suo bel da fare con le agitazioni scolastiche, ma non se ne lasciava assorbire più di tanto. Diventammo amici e qualche volta andai a casa sua, in via delle Coppelle, sopra l’Istituto Sturzo. Più che Maritain amava Mounier, a riprova di un cattolicesimo democratico in cammino verso un orizzonte di libertà e inquietudine. poco ossequioso della disciplina di partito.

Certo non era un campione di puntualità,  una volta riuscì a dare buca persino ad Aldo Moro. David gli aveva chiesto di venire al “Ferrari” e l’appuntamento era stato combinato, ma toccò constatare all’allora Ministro degli Esteri, dopo due ore di attesa vana, che in pratica era saltato. Il motivo? La distrazione di David: si ricordò dell’incontro quando ormai era troppo tardi. Fortunatamente riuscì a rimediare perché Moro si rese disponibile – ecco l’attenzione che aveva verso i giovani! – per una nuova data.

La maggiore qualità di David, quasi la stigmate del suo carattere, stava nella buona mescolanza di candore e intraprendenza. Aveva immaginato, a un certo punto, di ottenere l’investitura a capo dei giovani dc, benché non avesse i numeri dalla sua: il congresso si fece a Bergamo, nel 1977, ma non lo vide protagonista.

Forse provò delusione o forse, chissà, identificò nel giornalismo il vero cimento della vita. In fondo, avrebbe seguito le orme del padre, penna finissima e intelligenza penetrante, uno dei migliori professionisti de “Il Popolo” e de “La Discussione”. Il suo primo impegno sarà nella redazione de “Il Giorno”, il quotidiano più vicino alla sinistra dc, ma presto varcherà la soglia della Rai. La conduzione del Tg1 gli consentirà di entrare nelle case degli italiani con quel tratto gentile che lo rendeva familiare ed amico. Il suo mondo divenne la televisione, senza però cedere alle logiche di quel mondo, spesso traversato da spinte di potere.

Dopo anni c‘incontrammo casualmente in un bar di via Monserrato, lui usciva ed io entravo, sorpresi entrambi ma decisi a rivederci, senza alcuna smanceria.

Fissammo un pranzo e lì capii che non poteva vivere senza la politica. Gli mancava, ma non muoveva un dito per accostarsi nuovamente all’attività dei primi anni giovanili. La sua educazione glielo impediva, la nostra stima, al contrario, glielo doveva riproporre. A Franceschini che chiedeva suggerimenti per il capolista alle europee del 2009 – collegio dell’Italia centrale – giunse pertanto il nome di David. Lui, ovviamente, non ne sapeva nulla.

Quindi, non è stato un giornalista passato alla politica, ma un politico che è tornato a fare il suo “mestiere” dopo un lungo e fecondo periodo di lavoro in Rai. È stata la sua rinascita. A Bruxelles, già nel primo mandato, si era fatto valere. Poi è venuto nel 2019 il riconoscimento ultimo, quello più prestigioso, l’incarico di Presidente del Parlamento europeo. Due anni spesi bene, i suoi, sempre con equilibrio e serietà, sempre con passione e intelligenza, mostrando autentica fede nel ruolo dell’Europa. Di ritorno da Davos, invitato insieme a grandi personalità del pianeta, confessò di aver trovato nei vari interlocutori una formidabile curiosità attorno alle vicende di questo nostro continente che denominiamo “vecchio” nonostante la giovane storia delle sue istituzioni comunitarie. Ne trasse conforto e stimolo, voleva lavorarci su e provare, in questo modo, a distillare gocce di futuro, in nome di un autentico europeismo.

Ora, di fronte alla volontà del Signore, non possiamo che inchinarci. David poteva fare molto, ancora a lungo, avendo energia e capacità. Poteva essere il nostro punto di riferimento nella politica a venire, dentro un vasto processo di riordino e rilancio del modello Italia. Con lui, certamente, l’identità di noi cattolici democratici poteva rifulgere con più immediatezza e facilità. Tutto questo lo andremo a conservare nella memoria e nella nostalgia, sapendo che l’amico ci ha lasciato per un vita più piena, come vuole la nostra fede, sicché la sua presenza – buona e ardita – non verrà comunque meno. Nell’ora del dolore, riceva l’abbraccio di tutti noi.

Lucio D’Ubaldo

Pubblicato su Il Domani d’Italia

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