Che fine hanno fatto i duemila posti a tempo pieno annunciati un anno fa dall’allora vice-prenier Luigi Di Maio in occasione dell’approvazione della legge di bilancio 2019?

Difficile dimenticare la sua dichiarazione, paradigmatica di quella sorta di “marketing politico” in voga in questi anni: «D’ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno!», aveva solennemente assicurato Luigi Di Maio che con un video su Facebook aveva annunciato: «Voglio darvi una buona notizia da condividere il più possibile: grazie ai nostri parlamentari della Commissione Istruzione della Camera (…) è stato approvato un emendamento alla Legge di Bilancio molto importante per la scuola e per i nostri figli» (…): «i bambini potranno stare più tempo a scuola, potranno avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio o la loro figlia starà a scuola con gli insegnanti, avrà un percorso formativo ancora più ricco». Sarà importante anche «per gli insegnanti perché si sbloccano duemila nuovi posti di lavoro nella scuola e di questi circa il trenta per cento sarà in mobilità. Ovvero quella parte di insegnanti che per colpa della Buona Scuola sono stati ‘deportati’ al Nord con un algoritmo che non abbiamo mai capito, e che adesso, per esempio, potranno tornare verso il Sud”.

E aveva concluso «Insomma, un grande successo che non so se ve lo racconteranno, non so se girerà per l’importanza che ha...».

Tuttoscuola invece ne parlò (https://www.tuttoscuola.com/tempo-pieno-di-maio-lo-porteremo-in-tutte-le-scuole-elementari-davvero/ ) e dimostrò che c’era molta velleità e improvvisazione nell’enfasi del vice-premier e impossibilità di realizzare quell’obiettivo in tempi brevi (per generalizzare il tempo pieno occorrerebbero 43 mila nuovi posti, non 2 mila).

Considerato che con mezza unità di personale si trasforma una classe da tempo normale a tempo pieno, quei duemila posti avrebbero determinato quattromila classi a tempo pieno.

In pochi avevano fatto notare che per attivare il tempo pieno serviva anche l’intervento dei Comuni per assicurare strutture (spazi laboratoriali) e servizi (mensa) per il tempo pieno.

L’ex-ministro all’istruzione Bussetti, in sede di applicazione della norma aveva precisato che quei posti sarebbero stati assegnati in base alle richieste di iscrizione delle famiglie.

Ma alla fine come è andata a finire?

Guardiamo innanzitutto al primo obiettivo indicato dall’ex-vice-premier, l’aumento delle classi a tempo pieno.

L’anno scorso erano state complessivamente quasi 45 mila (esattamente 44.944); quest’anno sono 46.403. Sono aumentate non di circa quattromila unità (corrispondenti ai 2 mila nuovi posti promessi), bensì soltanto di 1.459.

Probabilmente non basta affermare un cambiamento se non si creano le condizioni e il consenso per metterlo in pratica.

Come promesso, la parte del leone l’hanno fatta le regioni del Sud (475 classi a tempo pieno in più) e delle Isole (215 classi in più a TP).

Il Mezzogiorno si è trovato, pertanto, complessivamente con 690 classi a tempo pieno in più (il 47% dell’incremento delle nuove classi a tempo pieno).

Ma a proposito di classi c’è anche il rovescio della medaglia.

Infatti le classi funzionanti a orario normale, che l’anno scorso erano 84.415, quest’anno sono 81.745, cioè con un calo di 2.670 unità. Nelle regioni meridionali (Sud e Isole) sono 970 in meno. Si tratta di una quantità che non compensa minimamente l’incremento del numero di classi a tempo pieno. E che ha una conseguenza negativa sugli assetti degli organici del personale docente.

I posti comuni di docente che l’anno scorso erano complessivamente 193.708 (su tempo pieno e su orario normale) quest’anno sono 193.265, cioè 443 in meno. Altro che duemila posti in più!

Magra consolazione è l’aumento di 139 posti al Sud e 19 nelle Isole, con la Campania che ha avuto 131 posti in più, la Sardegna 51 e la Calabria 45, mentre la Sicilia ne ha perso 32 e la Puglia 26.

Pubblicato su TuttoScuola

About Author