In occasione dell’inaugurazione dell’Auditorium della Biblioteca nazionale centrale di Roma, che riapre al pubblico
dopo mesi di lavori di ristrutturazioni e migliorie, giovedì 19 dicembre alle ore 18.00, verrà offerto il monologo L’Appello ai Liberi e Forti di Luigi Sturzo, che si inserisce nell’ambito delle iniziative promosse per la celebrazione
del centesimo anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura.
«Non molto noto, eppure tanto intenso, è stato il rapporto che Luigi Sturzo ebbe con le biblioteche – spiega
Andrea De Pasquale, Direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma. – «Egli fu infatti Direttore della
Biblioteca del Seminario di Caltagirone tra il 1893 e il 1895 e il principale protagonista della ricostruzione della Biblioteca comunale. Infatti nella notte tra il 16 e il 17 febbraio del 1901 quest’ultima venne distrutta da un incendio,
lasciando la città disarmata e scoraggiata di fronte alla perdita di un’istituzione considerata di importante rilievo
sia per l’ingente patrimonio in essa conservato – una grande quantità di libri antichi e moderni e di documenti
archivistici relativi alla storia della città e delle sue istituzioni -, sia per il ruolo di aggregatore culturale che essa
svolgeva». Continua De Pasquale: «Il giovane sacerdote Sturzo, ritenendo la biblioteca uno dei luoghi, accanto alla
scuola e alla famiglia, in cui il miglioramento sociale e culturale poteva compiersi, si prodigò nella ricerca dei fondi
necessari alla rinascita, sollecitando l’apporto dell’intera comunità agricola e popolare, e spalleggiato dai migliori
intellettuali del luogo, come ben emerge dalle pagine del periodico da lui fondato, La croce di Costantino».
«Perché faccio politica? Perché attraverso di essa farò del bene agli altri». Le parole di don Luigi Sturzo
risuonano forti e contemporanee a distanza di tanti anni. Quella di Don Lugi Sturzo è una concreta idea di
libertà che deriva dall’attenzione nei confronti dell’Altro. L’idea che Libertà è partecipazione, per dirla con Gaber.
Solo un sostanziale interessamento proattivo agli sviluppi della società, vista come moltitudine perennemente
accogliente e arricchita dalle individualità che la formano, garantisce l’altrui e la propria libertà. È come se Sturzo
proponesse di collaborare per il bene comune superando tutte le appartenenze, non solo quelle confessionali,
ma anche quelle ideologiche, culturali, sociali, economiche, compresi quindi gli interessi di parte e il tornaconto
individuale. Tutte le appartenenze portano con sé il pericolo dell’autoreferenzialità, della trasformazione in casta,
rischiano di smarrire la propria parzialità pretendendo di diventare il tutto. In questo senso, libertà è anche un
limite verso sé stessi, un argine alla pretesa di assolutizzare la propria posizione e quella della propria parte.
Questa idea di libertà è alla base dell’Appello ai Liberi e Forti che, la sera del 18 gennaio del 1919, dall’albergo Santa
Chiara di Roma, veniva diffuso con l’annesso Programma in 12 punti a fondazione del Partito Popolare Italiano.
Nell’Italia e nell’Europa tumultuosa, e irrequieta, della fine della Prima guerra mondiale, don Luigi Sturzo, dopo
un lungo e intenso tragitto personale, in comunione con altri, inaugurava l’esperienza di un partito nazionale di
ispirazione cattolica, ma laico, con caratteri programmatici e riformatori.
Il monologo teatrale ha avuto il suo debutto il 5 luglio scorso in prima nazionale al Festival dei Due Mondi di Spoleto ed è stato replicato a Bologna e a Siracusa con grande successo di pubblico e consensi. È un don Sturzo più
intimo e privato, più immediato, anche nel linguaggio fruibile da un grande pubblico, con riflessioni
personali e ricordi privati tratti dall’immensa mole dei suoi scritti.
La cornice questa sera è l’Auditorium della Biblioteca nazionale centrale di Roma, che riapre al pubCon il patrocinio di
blico dopo mesi di lavori di ristrutturazioni e migliorie. L’Auditorium fu inaugurato nel 1975 con il trasferimento
nel nuovo edificio delle collezioni della Biblioteca nazionale provenienti dal palazzo cinquecentesco del Collegio
Romano. Lo spazio quadrato, sospeso su quattro pilastri cruciformi, è disegnato da Annibale Vitellozzi che aveva
vissuto in quegli anni straordinarie esperienze prima per la Stazione Termini e quindi per le strutture de i Giochi
Olimpici del 1960, lavorando a fianco di progettisti del calibro di Mazzoni, Nervi, Musumeci, Morandi. Il soffitto
ligneo è opera dell’artista Anna Romano e reca al centro un maestoso un lampadario Venini. Il foyer è ornato da
un immenso arazzo, opera di Giuseppe Capogrossi. Dopo oltre quarant’anni contrassegnati da un’intensa attività
di conferenze, eventi, premiazioni e inaugurazioni, la sala richiedeva un complesso lavoro rigenerativo di aggiornamento delle dotazioni tecnologiche, di adeguamenti alle moderne misure di sicurezza e di miglioramento delle
prestazioni complessive. Il progetto, ideato dal Direttore Andrea De Pasquale, si inserisce nella politica più vasta di
miglioramento dei servizi al pubblico della Biblioteca, di apertura alla Città e di attenzione a pubblici con difficoltà
motorie. Acustica, insonorizzazione, climatizzazione ma soprattutto confort per i trecento spettatori, che potranno comodamente usufruire dell’imponente spazio, sono gli obiettivi perseguiti con determinazione in un cantiere
di poco più di sei mesi. Il progetto ha ridefinito completamente gli usi degli spazi, rispettando alcuni tratti salienti
del limpido disegno originale, le quattro colonne e l’imponente pannellatura lignea del soffitto, un’efficiente cassa
acustica disegnata con rimandi al funzionamento strutturale del tetto. Sono stati ripensati il foyer, più accogliente
e scenografico, i percorsi del pubblico, ora protetti da “lamelle” che isolano fisicamente e acusticamente due corridoi di distribuzione, il palcoscenico, diventato vera macchina di scena, in grado di accogliere conferenze, concerti,
spettacoli e anche rassegne cinematografiche grazie alla dotazione di tecnologie di ultima generazione. Infine, la
grande platea, con pavimentazione lignea, nuove sedute e uno straordinario impianto illuminotecnico, acustico e di
proiezione. Un disegno neutro, limpido, dove tutto è stato pensato e modellato “su misura”, mascherando impianti
nuovi, parte predominante dell’investimento, capaci di fornire prestazioni all’avanguardia.
Il testo del monologo è stato curato e adattato da Francesco Failla, Direttore della Biblioteca e dell’Archivio Storico della Diocesi di Caltagirone. «Per fare capire come questo sacerdote sia arrivato a elaborare il suo pensiero
e la sua coscienza politica – spiega Francesco Failla – serve comprendere il suo rapporto con la famiglia e con
la fede, la sua vocazione a migliorare la qualità della vita delle persone. Attraverso il carteggio col fratello Mario
vescovo di Piazza Armerina e la sorella Emanuela, ma anche da alcune cartoline inedite provenienti dall’esilio, dalle
poesie, che chiama i miei giovanili reati, dalle opere teatrali e musicali, dai documenti relativi alla sua prosindacatura,
emerge uno Sturzo appassionato, coinvolgente, concreto e immediato, capace a tratti anche di commuovere per
la sua profonda umanità».
«Lo stesso don Sturzo pensava al teatro come un mezzo per trasmettere la cultura del bene
comune a gente che non sapeva né leggere né scrivere, basti pensare alla sua pièce del 1901 La
mafia», aggiunge Gaspare Sturzo, che ha fortemente voluto Appello ai liberi e forti per inserirlo nel progetto
Contro le Male Bestie, promosso dall’Istituto Luigi Sturzo di Roma e dal CISS, destinato promuovere la cultura della
legalità attraverso cinema, teatro e letteratura presso gli studenti delle superiori. «La passione per il bene comune
illuminata dalla fede cristiana il coraggio di assumere su di sé battaglie scomode – continua Gaspare Sturzo – ecco,
dobbiamo passare ai giovani la lezione morale di Sturzo, perché, come diceva lui, le male Bestie divorano la libertà
dei cittadini».
A interpretare don Luigi Sturzo in un monologo intimo, tra ricordi e riflessioni, è l’attore siracusano Sebastiano Lo
Monaco, attore robusto uso a ruoli pirandelliani e classici, che riesce a dare immediatezza e calore alle parole di
Sturzo. «Credo che don Sturzo sia uno dei politici più contemporanei e attuali rispetto a quanto stiamo vivendo
oggi – ha detto Sebastiano Lo Monaco –Sturzo cento anni fa parlava di libertà dei mari, di immigrazione e accoglienza, di mancanza assoluta di differenze tra etnia, di una sola razza creata da Dio. Ed ancora di fare della politica
non una ‘cosa sporca’ diceva, ma ‘un dono d’amore’. Sono parole scritte da un profeta.»
Il regista di questa pièce teatrale è Salvo Bitonti, direttore dell’Accademia Albertina di Torino e le musiche originali sono state composte da Dario Arcidiacono, siracusano, da tempo trapiantato a Roma.
L’Organizzazione generale della rappresentazione è a cura di Salvatore Aricò del Centro Internazionale Studi
Sturzo.
Sul palco sono disposti gli originali scrivania, sedia, bastone, attaccapanni, busto, quadro e macchina
da scrivere che arredavano le due stanze presso il Convento delle Canossiane a Roma in cui don Sturzo visse
dal 1946 alla morte nel 1959, conservati presso l’Istituto Luigi Sturzo e per l’occasione prestati alla Biblioteca
nazionale centrale di Roma.

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