Per un po’ di tempo, dopo la fine della fase più cruda e crudele della pandemia, politici, economisti e istituzioni economico – finanziarie mondiali hanno sottolineato quegli elementi di ripresa dell’intera economia, pur senza dimenticare le complessità che avevano nel frattempo investito importanti settori produttivi e scompaginato il sistema dei trasporti a livello globale. Sono poi sopraggiunte le difficoltà causate dall’aumento dei costi di gas e di petrolio. Per alcune settimane si è cercato di considerare la conseguente inflazione come un fenomeno passeggero. Poi, la guerra in Ucraina ha letteralmente cambiato tutte le carte in tavola. Al punto che anche gli organismi finanziari internazionale cominciano a parlare di una recessione globale causata dalla crescita dei costi di cibo, energia e fertilizzanti.

David Malpass, il Presidente della Banca mondiale, è stato molto esplicito dicendosi davvero in difficoltà a “vedere come evitare una recessione”. L’organismo da lui presieduto già il mese scorso ha ridotto di un punto le previsioni della crescita economica globale che per quest’anno si attesterebbe attorno al 3,2%. Forte l’attenzione alle interruzioni registrate in tanti settori produttivi della Cina provocate dalla ripresa del Coronavirus

Stessa musica dal Fondo monetario internazionale: secondo l’amministratrice delegata, Kristalina Georgieva, l’economia deve affrontare “forse la prova più grande dalla Seconda Guerra Mondiale”. Oltre che all’aumento dei costi di cibo e prodotti energetici il riferimento del Fmi va anche alla volatilità nei mercati finanziari, alla persistente minaccia del cambiamento climatico e alla frammentazione geoeconomica.

Pesano le politiche commerciali che da sole hanno provocato la riduzione del Pil globale di quasi l′1% già nel solo 2019  e la limitazione del commercio di cibo, energia e altre materie prime fondamentali per circa 30 paesi.

Il FMI chiede l’abbassamento delle barriere doganali e la diversificazioni delle importazioni “per proteggere le catene di approvvigionamento e preservare gli enormi vantaggi per il business dell’integrazione globale” e delle esportazioni “per migliorare la resilienza economica”. Il Fondo monetario internazionale torna a parlare del problema del Debito pubblico di tanti paesi visto che circa il 60% di quelli a basso reddito ha attualmente notevoli vulnerabilità sul piano dell’indebitamento. Infine, l’FMI chiede una modernizzazione della modalità dei pagamenti transfrontalieri che in taluni casi rappresentano un ostacolo alla crescita economica inclusiva e stima che il costo medio del 6,3% di un pagamento di rimessa internazionale significa che 45 miliardi di dollari all’anno vengono dirottati verso gli intermediari e sottratti alle famiglie a basso reddito.

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