Domenico Galbiati  è giunto ieri a dire che il Pd dovrebbe prendere il coraggio a quattro mani e considerare l’ipotesi estrema: quella di sciogliersi (CLICCA QUI). A tanto si può giungere dopo aver constato quanto profonda sia la crisi del partito che ancora per un po’ sarà guidato da Enrico Letta. L’appuntamento prossimo venturo è  quello del 6 ottobre quando si riunirà la Direzione per definire la data di un congresso che, secondo il Segretario, dovrà andare “alla radice dei problemi” e, su quella base, definire la scelta dei nuovi dirigenti.

Anche Romano Prodi parla di una rifondazione e, però, mette le mani avanti:” non appoggerò nessuno!”. Una dichiarazione probabilmente suscitata dal fiorire di quella che appare una tendenza virale: si stanno candidando questo e quest’altro, anche questa e quest’altra, a dimostrazione e conferma della situazione in cui questo partito si è ridotto. Ormai, si è rotto il vaso di pandora e “nani e ballerine”  sono pronti, e pronte, a fare il loro giro sul proscenio. La sostanza poco conta. O meglio, l’annuncio di queste candidature non ha uno straccio di contenuto, a parte il solito prezzo obbligato da pagare alla base, ai territori e compagnia cantando.

Preoccupa soprattutto il vedere la reazione alla debacle del 25 settembre. Sembra davvero che in molti non se l’aspettassero. E questo è davvero incredibile, se non ridicolo. E’ ovvio che moltissimi di loro non hanno familiarità con Politica Insieme. Se l’avessero avuta avrebbero visto che, sin da quando siamo nati, l’avevamo prevista.

Ci siamo persino presi un sacco di rimproveri da molti amici che prendevano la nostra disamina spassionata per animosità, la nostra presa di distanza da una linea sbagliata per avversione preconcetta. Ma questo non è vero, così come non è vera un’altrettanta avversione pregiudiziale che noi avremmo nei confronti del centrodestra. Si tratta di esaminare le cose per quelle che sono e valutare cose dette e cose fatte per quelle che sono. Non facciamo come il cardinale Ruini (CLICCA QUI), ma lui non è il solo, a destra come a sinistra tra i cattolici, a piegare le evidenze all’incedere del battito del cuore a secondo della posizione verso cui pulsa.

Noi, per quel che riguarda il Pd, abbiamo sempre sostenuto che:

  • era il frutto di una fusione a freddo da parte di epigoni di due pensieri diversi che avrebbero potuto trovare delle aree di collaborazione, ma non certamente destinate a costituire una cosa sola;
  • si è trattato per gran parte del percorso seguito finora di un accordo verticistico e quasi esclusivamente finalizzato alla ricerca del consenso e del potere;
  • sono progressivamente venute meno la tensione sociale e l’attenzione ai territori. Possibile che i dirigenti del Pd non abbiamo mai toccato con mano il sentimento popolare che li ha progressivamente sempre più avvertiti come il partito delle banche, dei grandi interesse, della borghesia delle Ztl? Possibile che non abbiano capito che la logica del sistema bipolare li avrebbe fatalmente portati a pagare altissime conseguenze per la lacerazione del rapporto tra gli eletti e gli elettori. E tutto questo ha contributo a perdere la cifra più significativa di un partito che, proprio perché si dice di centrosinistra, dovrebbe curare la propria postura popolare.
  • non sappiamo se tutto ciò sia causa o effetto, oppure causa ed effetto combinati, della radicalizzazione di un partito che ha perso per strada il senso di quale debba essere la ricerca dei diritti sociali sacrificati invece a vantaggio di quelli dell’individuo frutto di una cultura, quella dell’individualismo disgregatore, che non fa parte né del patrimonio popolare né di quello socialdemocratico;
  • infine, sono gli sbagli più recenti: non aver per tempo insistito sul cambio della legge elettorale e l’incapacità a costruire quel “campo largo” di cui Letta ha sempre parlato per ritrovarsi, poi, a giocare su un campetto di calcetto di periferia.

Nani e ballerine le capiranno queste cose? Ma anche le persone più serie, che pure non mancano nelle fila del Pd. E’ proprio vero. E’ necessario andare alla radice dei problemi.

E vedremo. Anche i tempi, oltre che i contenuti di un tale ripensamento, della creazione umile delle relazioni, dell’abbandono della presuntuosa idea della vocazione maggioritaria o della pretesa di distribuire, e poi ritirare, le vanghe da utilizzare nel “campo largo”. Sì perché restano due tentazioni. La prima che è quella di limitarsi a ricucire con quanti si è fatto di tutto perché si allontanassero: Cinque stelle, Renzi e Calenda. E nel fare ciò, come la gallina del Leopardi che torna “in su la via” a ripetere il suo verso. La seconda, è il puntare su un certo e prossimo fallimento dell’esperienza Meloni, così come accadde al Berlusconi del ’94. Ma non è detto che arrivi sempre lo “stellone” a salvare capra e cavolo.

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