Non c’è più senso della misura. Sta venendo meno alla classe dirigente pugliese la capacità di essere parte del tessuto sociale e di innervare, con le proprie competenze e creatività, ragioni di solidarietà, di prossimità e di benessere che rendano più equo e più giusto quel tessuto. Diversi sono i fatti che avvalorano questa ipotesi.

I rettori che cercano di moltiplicare e moltiplicano le proprie indennità, consiglieri regionali che hanno riprovato ad assegnarsi un trattamento di fine mandato e così via. Sicuramente tutti hanno legittime ragioni, ma sono ragioni congrue? Gli aumenti del rettore potrebbero avere riflessi sulle tasse degli studenti; l’eventuale trattamento di fine mandato verrebbe pagato da cittadini stremati e disillusi dalla politica. Non dimentichiamo che sono 400 mila i pugliesi in condizione di povertà assoluta. Si tratta di punti percentuali altissimi che pongono la regione ai primi posti, tra quelle italiane, in questa drammatica classifica.

C’è il settore sanitario. Anche i medici sentono di essere discriminati, di non guadagnare abbastanza rispetto alle loro responsabilità. Ragioni legittime anche queste, sia chiaro. Come non pensare allora che l’intramoenia sia una necessaria contropartita? Poco importa, poi, che ci sia tanta gente che non riesce più a curarsi.

Sembra che la classe dirigente sia diventata una variabile indipendente e impazzita in un sistema economico fuori controllo. Ognuno pensa a se stesso senza guardare al contesto; ognuno sente di poter rivendicare non già, come dice la Costituzione italiana, “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”, ma privilegi assoluti rispetto a ragioni collettive di importanza superiore. Bisognerebbe ricordare che l’equa retribuzione non è quanto ciascuno pensa di ottenere dal proprio lavoro, ma quanto il sistema economico riesce a garantire nell’ottica di un processo distributivo che non può permettersi 400 mila poveri.

Su questi temi sarebbe necessario avviare un dibattito politico tanto nei partiti quanto nella società e in tutti i luoghi dove i diritti sono violati a favore dei vantaggi. Laddove i partiti non siano più capaci di affrontare questi temi, essenziali per la vita di una società armonica ed equa, allora è il caso che lascino spazio a formazioni politiche nuove, più moderne, più attente ai bisogni della gente e meno impaludate nell’accaparramento del potere. Perché una democrazia viva e vitale chiede una partecipazione popolare altrettanto viva e vitale.

Pasquale Pellegrini

Pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno e ripreso con l’autorizzazione dell’autore

About Author