Fra non molto avremo utilizzato tutti i giorni dell’anno per ricordare i problemi sociali (dell’infanzia, della violenza, della povertà…) e parlarne una volta all’anno. In questo modo chi non ha voglia di affrontarli può esserci, almeno per un giorno, chi invece vuole affrontarli veramente è costretto a concentrare in poche ore tutta l’amarezza nel denunciarli senza essere ascoltato.
La politica celebra e garantisce par condicio ad ogni problema, senza derubricarne nessuno. È un rituale pagano, senza la fede e la speranza necessaria per affrontarli. Fra non molto verrà aggiunta anche la giornata del welfare.
La carità lo ha inventato, ha collaudato i prototipi e le soluzioni, affidandoli alla giustizia dei livelli essenziali di assistenza. La sintesi di questo incontro è nella nostra Costituzione: diritto al lavoro, rimozione delle disuguaglianze, riconoscimento delle capacità di ogni persona. È armonia incompiuta e disattesa dalla politica di ieri e di oggi, che ha inventato i diritti senza doveri, i diritti senza bisogni, i diritti privilegi. Le disuguaglianze hanno così potuto continuare a crescere, insieme con una recessione di welfare e di umanità.
La colpa è dei vecchi che costano alla sanità, dei poveri con troppi trasferimenti economici. Ma “il brand dei sussidi” è puntualmente reinventato da ogni forza di governo, promettendo soluzioni materialistiche fatte di prestazioni senza relazioni. Intanto i bambini poveri sono quadruplicati, i genitori poveri di quei bambini sono triplicati. Si sono aggiunti alle povertà e alle disuguaglianze che stanno sfiancando la fiducia nelle istituzioni e… nella democrazia.
La spesa assistenziale è aumentata del 25% in pochi anni, senza risultati e ottenendo il contrario: passività assistenziale e tanta scaltrezza nell’ottenere vantaggi senza bisogno. Chi li ha promessi sostiene che ci vorrà tempo per farli funzionare, controlli, procedure…, ma intanto vince lo scambio tra consenso e trasferimenti. L’analfabetismo di welfare è intanto diventato patologia politica diffusa, illude e consuma risorse senza preoccuparsi della resa dei conti. È stato così per i servi che non hanno fruttificato i talenti, sono stati trattati da malvagi e incapaci.
Si poteva prevedere la mancanza di medici e infermieri? Si poteva prevedere la domanda incrementale di cure per la non autosufficienza? Era prevedibile la crescente esclusione scolastica dei bambini con disabilità? Era prevedibile il fallimento dei trasferimenti senza servizi?
Era tutto prevedibile. Ma, come per le emergenze ambientali, le responsabilità politiche si sono nascoste sotto la sabbia della prossima scadenza elettorale. Gli esperti dei governanti non potevano non saperlo. Anche loro sono un costo, ma non per quello che ricevono ma per i danni sociali che contribuiscono a creare.
Ce la faremo? Forse si, ma accettando le sfide, abbandonando le soluzioni incapaci di affrontare i problemi e chiedendoci “Se questo è welfare”. Se lo è chiesto anche la Fondazione Zancan, segnalando l’urgenza di reinterpretare i potenziali innovativi degli incontri tra carità a giustizia. I test di fattibilità realizzati in molti territori sulle pratiche generative evidenziano possibilità originali per gestire il “fine vita del welfare assistenziale” e investire nei “diritti a corrispettivo sociale”, cioè sulle capacità di ogni persona anche se ultima, povera e fragile. Quando le soluzioni funzionano “ai limiti esistenziali” possono diventare soluzioni per tutti, come ci chiede la Costituzione.
Tiziano Vecchiato