Affiorano i timori di una ripresa dell’inflazione in America e c’è nervosismo sui mercati.

I segnali ci sono tutti: l’aumento dei prezzi delle materie prime; i tassi di interesse del titolo decennale del Tesoro americano in tensione; il gigantesco intervento di quasi duemila miliardi di dollari annunciato da Biden per stimolare la ripresa; l’attività di alcuni fondi specializzati nei prestiti a tassi variabili alle società già indebitate (“leveradge loan”); l’aumento dei noli marittimi sulle grandi rotte intercontinentali.

Se da questi segnali sortiranno effetti già quest’anno, le aspettative di crescita dell’inflazione oltre il margine del due per cento (programmato e sotto controllo) salterebbero e potrebbe scatenarsi-tra l’altro- una tendenza generalizzata all’aumento dei tassi di interesse anche in Europa.

E’ evidente che in questo caso sarebbero da rivedere larga parte degli interventi di politica economica e finanziaria in essere anche da noi: dal salvagente della BCE che continua ad acquistare sul mercato secondario i titoli del debito pubblico in scadenza, alla incidenza degli oneri finanziari sul bilancio dello stato; dai finanziamenti alle imprese, ai “ristori”.

Per non dire delle conseguenze politiche a cominciare dai tedeschi che da sempre hanno l’ossessione del ritorno dell’inflazione, peraltro in prossimità di elezioni e senza più la saggezza della signora Merkel che si accinge a lasciare la guida del governo. Non è un caso che alcuni banchieri tedeschi parlano già di frenare il credito.

Per non dire soprattutto della gestione del Recovery Fund che certo non verrà messa in discussione ma sarà condizionata oltremodo dai cerberi che a Bruxelles hanno il compito di controllare la conformità degli interventi e soprattutto la effettività dell’utilizzo dei fondi prima di allargare la borsa.

I mercati, che tengono il coltello sotto il tavolo, sarebbero pronti ad aprire le danze intorno al debito pubblico italiano che nel corso dell’ultimo anno è esploso (non solo il nostro) ben sapendo che non potremo contare all’infinito sul soccorso della BCE.

Le banche, che da un lato non vedono l’ora di assistere all’aumento dei tassi di interesse per mettere al sicuro i loro bilanci ma dall’altro temono una nuova ondata di crediti inesigibili, tornerebbero a selezionare rigorosamente gli affidamenti alle imprese dopo la scorpacciata di finanziamenti a tassi prossimi allo zero e le imprese ne subirebbero le conseguenze.

Per avere una idea di come cambierebbero le cose se l’inflazione ripartisse basti pensare ai settori economici più gravemente colpiti dalle conseguenze della emergenza sanitaria, come il turismo tanto per citarne uno, di fronte alle difficoltà che gli operatori incontrerebbero nel reperire i mezzi finanziari necessari alla ripresa e sostenere il costo del danaro.

Le conseguenze ancora più serie, se riparte l’inflazione, sarebbero certo sul bilancio dello Stato. Gli interessi sul nostro debito pubblico sono in caduta da otto anni e malgrado ciò nel 2019 sono costati circa 60 miliardi di euro, cioè più di quanto lo Stato spende per la scuola e la metà dell’intero costo della spesa sanitaria. Nelle previsioni della legge di bilancio per il 2021 gli interessi a servizio del debito sono previsti in 76 miliardi, per effetto dell’enorme aumento del debito in costanza di pandemia, pure in regime di tassi che non sono mai stati così bassi. Basti a questo punto pensare alla ricaduta sui prossimi esercizi in caso di ripartenza dell’inflazione.

Certo, per ora ci sono solo avvisaglie del vento che comincia ad alzarsi sui mercati, anche se la abbondante liquidità nel sistema è la madre dei mutamenti rapidi. Noi per ora abbiamo tutte le condizioni per avviare quelle riforme che sono alla base del programma di governo e che potrebbero metterci almeno in grado di affrontare su basi più solide ciò che presto o tardi accadrà. Per nostra buona sorte l’inquilino oggi a Palazzo Chigi è tra i più esperti nocchieri per affrontare le turbolenze finanziarie. I partiti, o quel che resta di loro, dovrebbero tenere in massimo conto che se ancora una volta si dovesse degradare verso le incompiutezze, saremmo esposti a pericoli molto seri.

Guido Puccio

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