Da ieri in poi non possono essere resi noti gli andamenti dei sondaggi di opinione fino al 25 settembre prossimo. Se ne riparlerà con i primi “exit poll” di quella serata. Un po’ di pace per orecchie e cervello dopo un lungo periodo passato a seguire l’andamento degli orientamenti di voto ripetuti con ossessività da telegiornali sempre più noiosi e incapaci a scavare davvero tra tutte le pieghe di tutti i partiti come  si vorrebbe da una stampa preparata, libera ed indipendente.

Probabilmente, andrà come ci dicono i sondaggisti. Magari dalle decisioni che prenderanno all’ultimo minuto gli indecisi, segnalati dall’ultima rilevazione consentita sopra il 10%, e dall’alta quota di astensionisti, preannunciati pari ad oltre il 33%, potrebbe venire qualche spostamento destinato a dirci esattamente l’altezza dell’asticella che il centrodestra sarà in grado di superare e di come verrebbe definita l’ampia maggioranza già data per certo sia alla Camera, sia al senato.

Come diceva Ennio Flaiano, gli italiani sono bravissimi nell’andare in “soccorso del vincitore”. Così, vediamo cose di sostanza, e un’infinità di importanti sfumature, travolte e del tutto sottovalutate dal circo mediatico e, soprattutto, dalla voglia degli italiani di farla finita. Lo dice bene Giuseppe Sacco, potremmo trovarci dinanzi ad un voto molto determinato dall’astensionismo e dal dispetto (CLICCA QUI). Poi, dopo il 26 settembre si vedrà… Male che vada, come ci siamo lamentati di quelli della Prima Repubblica e, poi, a seconda dei punti di vista, di Berlusconi e di Prodi, e poi ancora di Mario Monti e, poi, ancora di Matteo Renzi e compagnia cantando, lo faremo tra qualche tempo della Meloni e dell’allegra brigata che già si vede a Palazzo Chigi. E giù scendendo per li rami, ad assicurarsi il controllo delle istituzioni e dei posti di potere pubblici. Noi del cosiddetto “spoil system” parliamo poco, ma lo applichiamo molto.

Esperienze già vissute. Nel 1994 grazie a tutti quelli che dopo decenni di opposizione si mettevano, finalmente, “a tavola”. Qualcuno di loro giunse successivamente ad ingozzarsi di mortadella in Parlamento. Altri sono finiti nelle patrie galere per aver “rubato” come, se non di più, di quanto non fosse stato fatto nel corso della Prima Repubblica.

Ma se è davvero facile “sparare sulla Croce Rossa”, cioè sui nostri partiti e i nostri politici, è altrettanto semplice spiegarci cosa accadrebbe se i risultati degli ultimi sondaggi equivalessero, oggi, a quelli successivi all’apertura delle urne tra due settimane esatte.

La destra vince al grido “siamo pronti”. E la cosa ci fa insieme tenerezza e scorrere più di un brivido lungo la schiena. Le condizioni del Paese dovrebbero far tremare i polsi a tutti. Ma è evidente che chi promette a piene mani di tutto e di più ha ben altre preoccupazioni. Inoltre, la destra si sta confermando solo un’accozzaglia elettorale. Il rischio è che saremo costretti a vederne delle belle, anzi delle brutte, se i dissidi già evidenti tra la Meloni e Salvini si concretizzassero in una interdizione perenne tra di loro sui rapporti con l’Europa, sugli scostamenti di bilancio e sulla gestione del debito pubblico. Questione, quest’ultima, che prima o poi ritornerà al centro dell’attenzione dell’Unione nel momento in cui ci sarà da decidere come e  a chi far pagare i costi della guerra in Ucraina e dello smisurato aumento del costo del petrolio e del gas. Speriamo che su questo non si raggiunga il diapason con l’autunno inoltrato, stagione in cui saranno per primi i paesi del Nord, quelli “frugali” per intenderci, a sperimentare l’impennata del conto, visto che già adesso devono riaccendere i termosifoni.

Al “Centro” dovremo verificare se il Terzo Polo è una cosa duratura, al di là della consistenza elettorale dell’operazione Renzi – Calenda, per forza di cose improvvisata ed allestita in fretta e furia. Noi lo abbiamo detto subito guardando la cosa con il dovuto interesse, in relazione alla nostra vecchia intuizione che il Paese ha bisogno di liberarsi dalla cappa di piombo rappresentata dalla mentalità “bipolare” che ha pervaso oltre che i politici anche i sentimenti politici di un intero popolo.

A sinistra, bisogna dire davvero un “bravo” ad Enrico Letta riuscito in un assoluto capolavoro: dare alla destra una maggioranza e un peso come non si ricordava dai tempi del primo Silvio Berlusconi. C’è riuscito perché non ha tracciato uno straccio di progetto, a meno che non si voglia dare una tale patente alle sue uscite fatte per vellicare la parte più radicaleggiante del proprio partito; perché pur sapendo da tempo come sarebbero finite le cose ha cincischiato sull’introdurre una nuova legge elettorale; si è rimesso a riparlare della vocazione maggioritaria del suo partito, che poi è una forma di inaccettabile “dominio” culturale e di potere, utilizzando la formula del “campo largo”. Arato così male che, alla fine, è finito frazionato nel peggiore dei modi vedendo inevitabilmente  fattori, fittavoli e mezzadri mettersi in proprio per le sementi e per il raccolto.

Se stasera si aprissero le urne con la conferma dei risultati previsti dai sondaggi, Letta finirebbe a tornare ad insegnare a Parigi. La Meloni deve inventarsi qualcosa di serio. E non sappiamo se ciò potrebbe consistere in una voce che circola da qualche giorno per i circoli del “gossip”, che poi è il pettegolezzo in italiano, della politica e cioè che l’idea sarebbe quella di mandare a Palazzo Chigi Renato Brunetta, in modo che la politica di Draghi vada avanti dopo che la Meloni ha sparato contro per un anno e mezzo. Poi, si sa, c’è chi crede che gli italiani mentre vanno in soccorso del vincitore pensano in cuor loro: “Francia o Spagna purché se magna”.

Si vota dopo il solstizio ed entreremo nell’autunno che sarà caldo su tanti fronti. Leopardi commenterebbe: “all’apparir del vero tu misera cadesti”. Per evitare di sentirci dire che le zebrette ce l’hanno solo con Giorgia Meloni, è meglio fare i manzoniani e, anticipando le lunghe trasmissioni che dovremo seguire per tutto il 26 settembre, limitiamoci ad un più asettico “ai posteri l’ardua sentenza”.

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