La neo-ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina (incarico ministeriale dimidiato: almeno pericolo dimezzato) si è subito distinta con una serie di prese di posizione che la collocano tra i qualificati appartenenti alla compagine del non-pensiero.
Mi soffermo, brevemente, su un solo ma dirimente, profilo: quello volto – negli auspici dell’esponente dei 5 Stelle – a tagliare (se lei potesse… ma fortunatamente non può, Costituzione alla mano) i soldi assegnati alle scuole paritarie per dirottarli verso gli istituti pubblici. Mi rifaccio, per questo rilievo, alla sintesi che di questo non-pensiero ha dato su Repubblica del 4 gennaio scorso Alessandro De Nicola: un pensatore liberale di tutto rispetto che è, comprensibilmente, inorridito di fronte a questa opzione per il monopolio pubblico dell’istruzione.
Da persona che sa di economia mette avanti anche il costo, esorbitante, da lui quantificato in 6.000 euro annui per ogni studente – e sono centinaia di migliaia – che attualmente frequenta gli istituti liberi (cioè non statali) che hanno chiesto e ottenuto la parificazione. Parificazione con riguardo alle regole, alle procedure, alle metodologie tra le scuole paritarie e le analoghe scuole statali.
Ragiona, infatti, De Nicola che una delle motivazioni – ma non l’unica né la principale, come vedremo – per le quali i costituenti predisposero la norma dell’art. 33,3 comma: «Enti e privati hanno diritto (sic) di istituti e scuole e istituzioni di educazione, senza oneri per lo Stato» nasceva dal fatto che, aderendo ed inverando un elemento essenziale della modernità democratica, cioè la scelta per il pluralismo, viene lasciata ai privati che avessero motivazioni per farlo di affiancare lo Stato o anche, perché no, cimentarsi con esso nella gara per la miglior educazione dei giovani. Lasciarla totalmente allo Stato significava, infatti, incubare e sviluppare i germi del totalitarismo, come sanno le tragiche esperienze del nazifascismo e, con efficacia ancora maggiore sul punto, del comunismo sovietico o cinese o polpottiano.
Se non è solo Stato ad essere Agenzia di istruzione e di educazione, ma accanto ad esso altri Enti pubblici – le Regioni, le Province Autonome, ma anche i Comuni o le Camere di Commercio o soggetti privati – si assumono tale onere e si sottopongono, evidentemente, ai controlli e alle verifiche sulla loro attività (per questo è stato previsto un esame di Stato) è la società nella sua interezza e nella diversità delle sue articolazioni a trarne giovamento.
Il famoso, e controverso, inciso “senza oneri per lo Stato” va inteso nel senso che nessuna scuola privata e/o libera può, al momento della sua nascita, pretendere che i suoi costi siano sostenuti dalla collettività, ma solo che, una volta che abbia chiesto e ottenuto una parità verificata, ad essa deve essere assicurata piena libertà – estensibile, ovviamente ad alunni e docenti – con un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
Si chiamano, codesti, finanziamenti statali “a sgravio” perché, mentre da una parte sollevano i privati da una quota dei loro sacrifici economici (che sempre ci saranno, e dovranno esserci) dall’altra alleggeriscono la spesa pubblica dell’onere che allo Stato deriverebbe dall’obbedienza a quanto stabilito dalla Costituzione (art. 33,2 comma) e cioè di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi di istruzione.
Un pensatore liberale di alto livello quale John Stuart Mill inorridirebbe all’idea di scuole soltanto statali, perché a suo avviso il compito dell’istruzione incombe sulla società civile che ha il diritto e il dovere di autoeducarsi e di autogovernarsi, in spirito di sana e vera libertà.
Certamente non siamo più – e per fortuna – nel 1859 e molta acqua è passata sotto i ponti del Tamigi e del Tevere. Ma una risciaquatina in quelle acque non molto distanti dal viale dove è allocato oggi il ministero de quo non farebbe male all’attuale ministra. La letteratura, generale e specifica sul tema, di giuristi e pedagogisti è sterminata. Ma si possono trovare anche buone sintesi: basta avere la voglia di studiare e, conseguentemente, di ri-pensare.
Enzo Balboni