La fase iniziale della pandemia si è velocemente trasformata in Sindemia, cioè l’insieme dei problemi di salute, problemi ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.

Ci troviamo di fronte al dilagare incontrollabile delle tante conseguenze della pandemia, che ha generato un insieme di patologie non solo sanitarie, ma anche sociali, economiche, psicologiche, dei modelli di vita, di fruizione della cultura e delle relazioni umane. A differenza della pandemia, che indica il diffondersi di un agente infettivo in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque, la sindemia implica una relazione tra più malattie e le condizioni ambientali o socio-economiche. Se demos (δῆμος) è il popolo, epidemia (ἐπί) è «sopra il popolo, nel popolo» e pandemia è «in tutto il popolo», allora sindemia (σύν) vorrebbe dire «insieme al popolo» (in inglese, syndemic, a sua volta da syn-ergy, ‘sinergia’ o syn-ergistic, ‘sinergico’, ed epi-demic, ‘epidemia’). La risposta dovrà essere quindi opportuna, complessa e articolata.

Servirà un vaccino sociale e spirituale, non basterà Pfizer o Moderna. Ma dovremo anche iniziare con lo sgombrare il campo dagli equivoci che riguardano sia il compito della scienza che il ruolo dello Stato e della politica. La prima non può pretendere di essere l’unico interlocutore, l’unica chiave di lettura. Non è chiamata a rispondere del senso della vita, ma semplicemente di un metodo, utile, per conoscere la realtà che ci circonda. D’altronde, per miliardi di persone la scienza non è altro che una fede. Già perché si riduce ad una èlite di studiosi che spiegano alle masse cose che queste non vedono, ne toccano, ne comprendono razionalmente. Un virus, come un elettrone, un microchip, un Dna, una sinapsi. L’uomo semplice vi si “affida” perché non conosce direttamente e spera. In fondo, è anch’essa una fede, per guarire o per vivere quotidianamente. “La scienza dice …”, è la frase che risuona continuamente in queste settimane. In realtà non è la scienza a parlare, ma sono gli scienziati, con diverse valutazioni ed anche opposte considerazioni.

La scienza è solo un metodo, non una visione del mondo. Allo stesso modo, va riletto il ruolo dello Stato. Si sente spesso il richiamo al “Diritto alla salute”, dimenticando (volutamente) che uno Stato può e deve garantire il “Diritto alla cura”. Un diritto alla salute è di per se fuori dalle prerogative politiche. Semplicemente perché non è possibile garantirla. Ecco perché la Politica, quella con la p maiuscola, deve riappropriarsi di quello specifico spazio che la rendeva, agli occhi degli antichi filosofi, la Prima Arte, la più importante, la più difficile: progettare la convivenza, favorirla, tenendo in considerazione le decine di variabili che la rendono possibile. E la scienza dovrà essere al servizio di questo percorso, non prevaricarlo. Riconoscendo i tanti errori commessi in questi decenni. Intanto la follia del numero chiuso nell’accesso agli studi universitari.

L’Ordine dei medici si è mosso con una logica strettamente corporativa e di salvaguardia di interessi prettamente economici. Secondo il principio della divisione della torta tra il minor numero possibile di bocche. In secondo luogo, si sono variati con leggerezza organizzazione e senso della medicina territoriale, come lo stesso ruolo dei medici di base. Una relazione antica, profonda e continua legava paziente e medico nel passato, un immenso patrimonio gettato al vento. Perché un medico di base conosce la “cura” molto più di un semplice infettivologo o virologo !! In terzo luogo, il giudizio sulla attività delle organizzazioni sanitarie, sia nazionali come l’ISS che internazionali come l’OMS, non può che essere pessimo: entrambe si sono fatte trovare impreparate di fronte ad un evento da molti studiosi atteso o addirittura dato per certo (previsto anche da protocolli già nei cassetti degli Enti da anni !!). Se, a tutto questo, aggiungiamo la fallimentare logica gestionale dei nuovi servizi ospedalieri, con la cancellazione di migliaia di posti letto, il risultato è qui, ora, sotto gli occhi di tutti. Fatto salvo il grande e meritevole lavoro di medici e infermieri, che sempre ringrazieremo, il bilancio di questa esperienza è estremamente negativo e drammatico.

Non mancano poi le contraddizioni informative, continue, lo spettacolo indecoroso dello spettacolo permanente televisivo, con i commentatori moltiplicatisi all’infinito e con la conta quotidiana di numeri freddi e indecifrabili. Incomprensibile, ad esempio, il motivo per cui se i vaccinati, in prima dose, sono circa 13/mln, non vengano conteggiati in aumento i milioni di contagiati guariti (immunizzati per un periodo di circa sei mesi, secondo le ultime valutazioni) e i milioni di possibili contagiati asintomatici (forse andava prima effettuato lo screening di massa, come fatto in Israele). Perché? Perché il totale a questo punto dei possibili immunizzati avrebbe potuto essere molto più alto dei soli vaccinati, rendendo questi dati utili ai fini delle prospettive economiche e sociali.

Chiudiamo con i crimini … contro l’umanità. Si, perché di questo si tratta. Migliaia e migliaia di persone a cui è stato negato il semplice (questo si) Diritto ad una morte degna, ad avere accanto una persona cara per l’ultimo saluto. Persone lasciate sole nel momento più difficile, senza conforto, senza una mano a sostenerle. Dall’altra parte, migliaia e migliaia di famiglie, figli, genitori, consorti, a cui è stato negato il Diritto (questo si), di accompagnare il proprio caro. In cambio, hanno ricevuto una semplice telefonata, di annuncio della morte e niente più. Spesso nemmeno il funerale. Solo una pseudo civiltà può accettare tutto questo. Si poteva e si doveva lasciar accedere il familiare, ovviamente con tutte le cautele, come da sempre viene fatto nelle terapie intensive.

Per sottacere le colpe gravi del passato (mancanza di posti letto, mancanza di medici e infermieri) si è preferito sacrificare la vita affettiva, il suo significato più profondo. Ci sono le testimonianze del calciatore della Juve Beppe Furino, del sindacalista della Fiom di Torino Airaudo, di migliaia di famiglie a cui si è impedito quello che è sacralmente più intoccabile. In questo anche la Chiesa ha tentennato e si è inspiegabilmente accodata. Forse per farsi vedere più lealista del Re, o più laica dei laici, al passo con i tempi. “Dobbiamo preservare tutti gli altri”, la scusa. Già. Ma Francesco d’Assisi abbraccia il lebbroso e non scappa ! Si, certo anche i vescovi hanno paura di morire, ma un genitore non teme uno stupido virus di fronte ad un figlio morente. Tristezza e peccato grave. Rimarrà un crimine inaudito contro l’umanità, un macigno su questa civiltà egoista e vigliacca. Dalla scienza alla co(scienza).

Francesco Poggi

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