La recente orribile cronaca impone una riflessione sui valori-beni giuridici oggi tutelati dall’Ordinamento giuridico e lesi dalla condotta penale così come stata accertata. Guarderemo quindi oltre il dito delle contingenze tragiche sottoposte alla nostra attenzione a seguito dell’uccisione di una giovane donna al settimo mese di gravidanza per volgere la riflessione alle “stelle-leggi” del “cielo sopra di noi”. Certi dell’esistenza concettuale di altre non ancora scoperte e definite, ma delle quali tuttavia ne abbiamo coscienza grazie alla “legge morale dentro di noi”.

Partiamo allora dalla vigente normativa.

Absit injuria verbis ricordiamo che è possibile interrompere legalmente la gravidanza entro il terzo mese. Solo a tutela della vita e della salute della gestante, oltre che per accertate malformazioni del nascituro, l’interruzione della gestazione è possibile entro il quinto mese.

Coordiniamo a ciò le norme che individuano il momento della morte della persona alla cessazione della sua attività cerebrale. Rapportiamo il tutto alla questione dibattuta dalla scienza giuridica moderna che, pur tuttavia, oggi unanimemente attribuisce la  personalità giuridica solo alla persona nata.

Solo i nati posso essere centro di interessi e quindi titolari di diritti tra i quali spiccano in primis quelli personalissimi come il diritto al nome che appunto si acquisisce solo con la nascita.

Infatti, nessuna norma del nostro Ordinamento giuridico complesso dalla Costituzione in giù prevede e costituisce il “Diritto di nascere”. Vale a dire che il ”feto” sano e vitale, la cui crescita non mette a rischio la salute della gestante e maturato il quinto mese di crescita,  con evidente attività cerebrale umana, non acquisisce secondo la vigente legislazione personalità giuridica, anche se normalmente nascerà di solito al nono mese.

I nostri padri latini di scienza  giuridica avevano concettualizzata la necessità e l’utilità anche sociale delle funzioni del  “Curator Ventris” che svolgeva le eccezionali mansioni di tutore del nascituro nel verificarsi di particolari evenienze. Secondo i nostri padri, il “feto” aveva la dignità di Persona e, quindi, era titolare di diritti autonomi, pur se si ripete solo in determinate circostanze. Per la scienza giuridica romana, la personalità giuridica veniva accreditata alla persona non ad un atto, la “nascita”, bensì ad uno status, la “vitalità”, che ragionevolmente secondo le evenienze normali porta alla nascita, il suggello per l’acquisizione definitiva di diritti.

La scienza giuridica moderna, avvalendosi delle conoscenze mediche, ben potrebbe anticipare al nascituro tutti i diritti perlomeno personalissimi, quali in primis il diritto alla nascita e al nome, poiché, com’è notorio, ben prima del quinto mese è possibile accertare il sesso del nascituro e, per questo, alla grandissima parte di loro viene dato il nome con amorevole sentimenti familiari.

Partendo dal caso di cronaca, si potrebbe osservare che, poiché la gestante è sicuramente deceduta quando il “feto” era in vita, la morte di questo nell’utero sia avvenuta successivamente a causa di una grave sofferenza uterina, certamente da lui avvertita ed elaborata, considerata la già matura attività cerebrale. Tutto ciò è proprio di una persona con la conseguenza che il capo di imputazione a carico dell’indagato dovrebbe essere di duplice omicidio e non di omicidio e di procurato aborto illegale.

Le riflessioni qui condivise, e suggerite dalla “legge morale dentro di noi”, rendono necessaria una discussione ampia e trasversale sulla questione della personalità giuridica e sul criterio della “vitalità”.

La “vitalità” è “conditio sine qua non”  affinché la umanità possa svilupparsi. Non crediamo sia necessario dilungarsi su questo perché la verità concettuale di tale assunto è certamente propria dell’animo umano e  trasversale ad ogni concezione politica e religiosa. Il concetto bene-valore giuridico della “vitalità” è proprio ed appartiene al genere umano. Non è possibile negarlo. È necessario quindi promuovere e avviare una riflessione collettiva affinché i tecnici giuristi possano elaborare nuovi strumenti legislativi a tutela essenzialmente della Persona.

La “legge morale dentro di noi”, che si auspica guidi le coscienze nella elaborazione di queste riflessioni, ha il valore della universalità nel rispetto di tutte le posizioni ideologiche e religiose. La “autonomia” delle scienze è un valore-patrimonio assoluto e indisponibile dell’umanità e non può e non deve essere ostacolato da posizioni di parte.

“Sono libero” è l’agghiacciante espressione del protagonista nefasto della vicenda spunto di queste righe. Non esprimeremo nessun giudizio o valutazione morale. Proviamo a volare.

La libertà non è un concetto spaziale o temporale. Attiene alla capacità della persona di estraniarsi in una dimensione che avvolge la sua dignità. Non c’è libertà senza dignità. Proviamo a dare libertà e dignità a chi non ha voce per chiederle.

Celestino Ciccorelli

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