Ogni anno nel mondo vengono prodotti circa 400 milioni di tonnellate di oggetti di plastica. Per la metà si tratta di  articoli monouso come buste, tazze e materiale da imballaggio. Purtroppo ne finiscono nei corsi d’acqua e nei mari tra gli otto e i dieci milioni di tonnellate. Tutta questa plastica messa insieme sarebbe in grado di formare un territorio paragonabile ad un paese di circa 11.000. Equivalente, insomma, a nazioni come il Qatar, la Giamaica o le Bahamas e più grande, tanto per avere un riferimento a noi più vicino, di regioni come l’Umbria, le Marche o l’Abruzzo.

Secondo un recente studio, se si proseguisse con questo ritmo, nell’arco dei prossimi 50 anni avremmo in giro nei nostri mari e oceani paesi di plastica delle dimensioni di Francia, Tailandia o Ucraina, cioè di oltre 500 mila chilometri quadrati, cioè oltre una volta e mezza l’Italia.

Gli scienziati, comunque, non sono preoccupati solamente dai grandi e dai medi contenitori in plastica e guardano anche alle microplastiche che, lunghe meno di 5 millimetri rappresentano una grave rischio ambientale per tutti i componenti della vita marina e finire per causare gravi danni anche agli esseri umani. Visto che le microplastiche possono accumularsi in organi come fegato, reni e intestino e provocare infiammazioni, stress ossidativo e danni cellulare.

Stando ad uno studio del 2021, pubblicato dalla ricerca Science Advances, l’80% di tutta la plastica finita negli oceani proverrebbe dall’Asia. Le Filippine coprirebbero questa percentuale per un terzo, seguite da India (12,9%), Malesia (7,5%), Cina (7,2%) e Indonesia (5,8%).

Si ritiene che, in realtà, la plastica che galleggia sulla superficie di mari ed oceani rappresenti solamente l’1% di quella che si trova a maggiori profondità o adagiata sul fondo marino dove si suddivide nel corso degli anni in pezzetti sempre più minuscoli fino a diventare microplastica la cui durata è valutata in termini di centinaia d’anni.

CV

 

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