Allo stare ai fatti, in genere, si associa una offerta certificata di trasparenza. Davvero, la politica, da tempo, si esonera dai “fatti “e si lega alla prospettazione di “letture della realtà” cui associa programmi, promesse, tutte sprovviste di copertura fattuale.
Si, l’atto politico è l’atto libero nel fine, si obietta. Sarà pur vero, in una classificazione accademico-dottrinale, ma sempre più si avverte la necessità di individuargli un confine, quanto meno costituzionale.
Nella sguaiata contrapposizione politica di populisti vecchi e dell’ultima ora, dichiarati o coperti, tutti accomunati singolarmente dal tentativo fatto o promesso di rovesciare la legalità costituzionale, si accampa unanimemente una regola sciagurata, quella della libera disposizione della rappresentazione dei fatti (la lettura), senza che ad essa si associ una copertura legale.
L’esempio più clamoroso, lo faccio rivolgendomi direttamente alla gente che paga le tasse e vota e a quella che paga le tasse ed ha smesso di votare, è la libertà di rappresentazione della spesa pubblica nelle promesse elettorali dei partiti.
Rotto un principio di lealtà verso lo Stato e l’interesse pubblico, i partiti promettono soldi agli elettori come unica forma di rappresentazione politica. Sono soggetti costituzionali, i partiti (come lo sono i movimenti politici) ma non rispettano la Costituzione che, sull’uso che si fa del bilancio, cioè dei soldi degli italiani, lega le istituzioni al rispetto di vincoli interni ed internazionali di ragionevolezza. Perché, è bene dirlo con semplicità estrema, se quei vincoli di buon senso non si rispettano salta l’Italia con i suoi buoni e cattivi cittadini.
Ma c’ è un esempio di strettissima attualità, quello della riduzione dei parlamentari. La lettura, di Grillo, di Renzi, di Di Maio (un partitocrate già segnalatosi per innamoramenti subitanei con questo o quell’istituto giuridico, tutti improbabili per l’ordinamento italiano; chi non ricorda la sua esaltazione della costituzione portoghese per la gestione del trasformismo parlamentare, presto accantonata), di Salvini, e di tutti i loro amplificatori politici, la lettura propinata al Paese (giustamente stanco di classi politiche dimentiche dell’interesse generale) è che si eliminano poltrone e si risparmiano soldi pubblici.
Il fatto, che sottopongo all’intelligenza degli italiani è un altro: dietro ogni eletto ci sono migliaia di elettori, dei quali si intende eliminare la rappresentanza in Parlamento. Già oggi, per il cittadino normale (quello non intruppato nei meccanismi di trasmissione del potere, ivi inclusi i social media) è impossibile avere un collegamento con i propri rappresentanti. Domani sarà impossibile. Ma il fatto più clamoroso riguarda il risparmio. Infatti, lo spreco che è sotto gli occhi di tutti consiste dell’incapacità degli eletti (in misura esponenziale, a partire dalla undicesima legislatura) di svolgere il ruolo di parlamentare. La Repubblica, che deve fronteggiare quotidianamente la complessità globale ed il tentativo permanente dei gruppi di pressione di sostituirsi ad essa nelle decisioni di governo del Paese, è rappresentata da una classe politica incapace.
Nelle maglie delle leggi e prima ancora delle proposte di legge, se il Parlamento, meglio sarebbe dire ogni singolo parlamentare, fosse in grado di esercitare il ruolo costituzionale di controllore, troverebbe risparmi per diversi miliardi di euro (da calcolarsi al netto della corruzione e dell’evasione fiscale.
E aggiungo che i mali della pubblica amministrazione sono tutti da ricercare nell’indirizzo politico dei ministri. Con gli uffici di diretta collaborazione (fuori dal tecnicismo, con i fidi di partito) si distrugge la finanza pubblica, l’amministrazione dello Stato. Si da ingresso a poteri che non ne rispondono.
Intanto, a tutti i livelli, centrali, regionali, locali, i bravi funzionari dello Stato vengono quotidianamente perseguitati e minacciati di purghe staliniane in caso di fedeltà alla Repubblica e di infedeltà ai vari tiranni populisti.
E non si dica che si tratta di una forzatura perché non è così. Neppure la forza della legge ed i magistrati o le autorità indipendenti sono in grado di far valere la giustizia!
Questo è il fatto. Si svuota lo Stato, si svillaneggia il Parlamento per farvi entrare poteri fuori dal controllo democratico.
Alla domanda sacrosanta di una totale trasparenza della sfera politica, che è un fatto, i populisti nostrani rispondono con una lettura che travisa il ruolo delle istituzioni.
Un terzo punto. Il fatto, a proposito della propaganda poitica (quella della bestia di Salvini, come quella della piattaforma casaleggina sussidiata con le rimesse degli eletti grillini) è costiuito dallo strapotere dell’informazione di parte. Questa volta a fatto si contrappone fatto: non una Istituzione fronteggia la propaganda.
Suggerisco una via facile: i servizi informatici delle Camere, previa produzione di informazione “bollinata” dagli Uffici di Presidenza, con tanto di esposizione delle opinioni di minoranza, siano messi in grado di fare informazione a tutela della legalità democratica, magari associandovi quel garbo istituzionale che è sale della democrazia rappresentativa.
Pensate, non costerebbe nulla!
E così facciano i Ministeri: il popolo ha fame di trasparenza delle decisioni politiche e di governo.
Vengo ad una conclusione. In mezzo alla blasfemia corrente, una parola del Papa non può essere fraintesa, né strumentalizzata. Ha detto, e lo si deve ringraziare, che nuvole gravide di violenza coprono il sole della pace. E’ semplicemente vero. Dovremmo tutti pensare e temere la globalità del populismo. Lo ha fatto il Papa che non è di parte e lo dobbiamo ringraziare. Non è una ripetizione, è un sentimento.
In questo contesto colloco un fatto del quale si parla poco, perfino in quella parte di stampa che dovrebbe farlo. Il fatto è che dopo anni ed anni, per i motivi che tutti sappiamo e non mette conto di analizzare (lo faranno gli avversari), nasce n’iniziatica di ispirazione cristiana.
Non è figlia di nessuna lettura. Semplicemente, ritiene che la dottrina sociale della Chiesa e la Costituzione contengano, per intero, le linee ispiratrici di un programma di Governo del Paese. E’ un fatto.
Che ci siano o no le elezioni, questa forza deve produrre una proposta di Governo che, nei fatti e nelle compatibilità finanziarie, darà conto delle politiche fiscali che intende attuare e di ogni singolo centesimo che intende allocare nelle sue future decisioni di spesa pubblica.
Ho evitato ogni cenno polemico sulle persone, pur essendovene mille ragioni e, fedele all’impostazione scelta, concludo con una reminiscenza storica.
Oggi è di moda controbattere a chi argomenta sulla politica, fatti eleggere. È un’ignominia. Abbiamo cara la libera informazione, la libera magistratura, le libere istituzioni democratiche. Mi piace ricordare, guardando un po’ indietro nella storia, che quella provocazione (fatti eleggere) non ha avuto grande fortuna. La pronunciava Napoleone III per imbrigliare la libera stampa e sappiamo come è finita.
Alessandro Diotallevi