Proseguiamo oggi con il secondo intervento di Sandro Diotallevi con il quale  si offre il risultato dell’attività del Gruppo di lavoro, da lui coordinata, su “Stato e autonomie locali. I diritti dei cittadini” cui hanno portato il contributo anche amici di altri gruppi e organizzazioni ed esperti del mondo cattolico. In questa occasione, che segue quanto pubblicato ieri ( CLICCA QUI ), vengono affrontati i temi dei Referendum, delle Leggi di iniziativa popolare, del Dibattito pubblico sui grandi interventi infrastrutturali, del Principio di legalità.

 

Referendum costituzionale e referendum abrogativo

Si propone di prevedere che le leggi di revisione costituzionale siano sempre sottoposte a referendum popolare confermativo.

Il Gruppo di lavoro segnala cinque interventi che rafforzerebbero l’efficacia del referendum abrogativo come strumento di partecipazione dei cittadini:

a) elevazione a 800.000 del numero delle sottoscrizioni in relazione all’aumento della popolazione;

b) posizionare il giudizio di ammissibilità del quesito da parte della Corte costituzionale non a valle della raccolta di tutte le firme, ma dopo la raccolta di un certo numero, ad esempio 100.000, adeguate a comprovare la tenuta costituzionale della proposta;

c) definire più precisamente i requisiti di ammissibilità anche per fronteggiare il ricorso esasperato alla “tecnica del ritaglio”;

d) definire il quorum di validità del risultato calcolandolo nel 50% più uno della percentuale dei votanti nella più recente elezione per la Camera dei deputati;

e) vietare, per un periodo determinato, di ripristinare la norma abrogata e comunque di aggirare il risultato referendario.

 Leggi d’iniziativa popolare

Si segnala l’opportunità di elevare a 80.000 il numero di firme richieste, per tener conto dell’aumento della popolazione rispetto ai dati del 1948 (vedi sopra) e per dare maggior efficacia politica alla iniziativa.

Dalla presentazione del progetto con il numero di firme prescritto deve derivare uno specifico obbligo di deliberazione per le Camere.

Il comitato dei promotori di una iniziativa legislativa popolare nominerà nel proprio ambito una delegazione di tre membri che parteciperà di diritto alla prima riunione degli organi di programmazione dell’attività parlamentare presso l’assemblea nella quale è depositata la proposta.

 

Dibattito pubblico sui grandi interventi infrastrutturali

I grandi interventi infrastrutturali devono essere decisi solo dopo un ampio e regolato confronto pubblico, per favorire la partecipazione dei cittadini a decisioni che hanno impatto rilevante sull’ambiente, come richiesto dalla Convenzione di Aarhus del 1998 e come avviene da tempo in Francia con le legge n. 276 del 2002 dedicata alla démocratie de proximité.

Il dibattito pubblico deve svolgersi nella fase iniziale del progetto, quando tutte le opzioni sono ancora possibili e deve riguardare tanto l’opportunità stessa della costruzione della grande opera quanto le modalità e le caratteristiche della sua realizzazione.

Al dibattito, mediato da esperti estranei al committente, può partecipare tutta la popolazione interessata. I costi sono a carico del committente dell’opera.

Dallo svolgimento del dibattito pubblico deriverebbero benefici sia in termini di partecipazione e democraticità delle decisioni sia in termini di speditezza ed efficacia dell’azione amministrativa (che in questo modo non verrebbe più permanentemente condizionata dalle pressioni settoriali e localistiche). Vanno inoltre disincentivate le impugnazioni meramente strumentali attraverso una revisione radicale della legislazione di settore, da subito onerando il ricorrente soccombente di una responsabilità per lite temeraria e della conseguente condanna alle spese.

Principio di legalità e durata in carica dei mandati istituzionali a carattere elettivo

A causa dell’eccesso di produzione normativa, della complessità dei fenomeni sociali e della qualità non sempre adeguata dei testi legislativi, più spesso destinati alla comunicazione politica di quanto non lo siano alla disciplina dei rapporti giuridici, e sempre deficitaria nella misurazione degli effetti di sistema, la legge ha in parte smarrito la sua valenza simbolica e la capacità di regolare efficacemente i comportamenti dei cittadini.

Ma non solo. Nella incombente società globale i soggetti regolatori si moltiplicano per numero e per ambito di efficacia. E’ tempo di global polity. Poiché, come noto, la legge non può varcare i confini territoriali dello Stato che la approva, è necessario che il sistema Paese sia attivo nei contesti globali nei quali si producono e/o si controllano i processi di regolamentazione dei fenomeni tecnologici , produttivi, sociali della globalità. Deve attrezzarsi con risorse proprie in regime pubblicistico, considerato l’intrinseco valore strategico della difesa della sovranità popolare-costituzionale. Insomma, non può esservi delega, in questo ambito se non in condizioni di reciprocità e di capacità di controllo pubblico dell’interesse generale.

Naturalmente, accettato il ciclo calante della tradizione giuspositivista, magari soltanto transitorio, resta, secondo l’ispirazione donataci da Sergio Cotta, una funzione sussidiaria del giurista collettivo, che deve essere conosciuta e sfruttata. Resta la legge, a presidio di uno dei tre corni della separazione dei poteri. Anche perché la soggezione dei magistrati ad essa rappresenta fattore di congiunzione tra un ordine giudiziario dotato di autonomia e di indipendenza e il circuito costituzionale fondato sulla sovranità del popolo.

La legge, tuttavia, non sempre si rivela idonea a garantire, da sola, il principio di legalità nella sua dimensione di possibilità di prevedere le conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascuno.

Il venir meno di quei fattori di certezza e di prevedibilità che erano tradizionalmente propri della legge e dell’interpretazione giurisprudenziale ha progressivamente ampliato i margini dell’intervento interpretativo del magistrato, nonché della capacità regolativa dei corpi intermedi. Tra la massima estensione dell’interpretazione del giudice (a dare legalità a ciò che il legislatore non ha previsto) e la massima contrazione dei valori di generalità ed astrattezza cui la legge conferisce vitalità (fino a trasformare il legislatore in un amministratore del caso singolo) c’è un ambito regolativo intermedio, presidiato dalla Costituzione, al cui interno possono legittimamente muoversi regolatori di natura nuova, forse mista.

Tale processo è difficilmente arrestabile, anche perché riflette una tendenza, propria non solo dell’Italia, di avvicinamento generalizzato ai sistemi di Common Law dove tuttavia altri sono i contrappesi, i meccanismi di responsabilizzazione e le fonti dalle quali l’ordine giudiziario trae legittimazione.

L’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, la stabilità della legislazione e la prevedibilità delle conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascuno sono tutti diritti fondamentali nello Stato democratico. Ma tali diritti possono essere messi a repentaglio dalla mutevolezza delle interpretazioni e perciò si propone di rafforzare – mediante interventi regolatori – l’autorità dei precedenti provenienti dalle giurisdizioni superiori e gli obblighi di motivazione in caso di scostamento da interpretazioni consolidate.

È necessario ridurre drasticamente l’area coperta dalle leggi del Parlamento; definire costituzionalmente una riserva regolamentare a favore dell’Esecutivo, sul modello delineato dalla Costituzione della V Repubblica in Francia, in tutti i settori normativi non riservati alla legge; vietare leggi che sostituiscano provvedimenti amministrativi; una revisione dell’articolo 77 della Costituzione capace di ristabilire l’alterato equilibrio tra Esecutivo e Parlamento ed il corretto svolgimento dell’attività legislativa.

Il Parlamento, liberato dal carico della legislazione minore attraverso misure di delegificazione e di decentramento, non più soffocato da decreti-legge a ripetizione, deve essere reso a sua volta capace di svolgere efficacemente la funzione di grande legislazione, in stretto coordinamento con il Governo nelle materie che investono il suo programma, nonché la funzione ispettiva e di controllo. Funzione che per essere effettiva deve poggiare su apparati di controllo endoparlamentari, con adeguata dotazione funzionale diretta o indiretta.

In considerazione della generale accelerazione dei processi decisionali che caratterizzata la vita economica e sociale del nostro tempo, dell’esigenza di garantire un migliore collegamento tra verifica degli orientamenti del corpo elettorale e sulla scorta dell’esperienza maturata in questi ultimi anni (Parlamento privo, sul piano effettuale, di una reale rappresentatività), si propone una generale riduzione della durata in carica di tutti i mandati istituzionali a carattere elettivo, da quello del Presidente della Repubblica (da sette a cinque anni), a quello della Camera dei deputati (da cinque a quattro anni o addirittura a tre), delle regioni e degli enti locali (da cinque a quattro anni o a tre), etc.

La proposta per così dire servente all’esigenza di tenere in allineamento la rappresentanza popolare con la velocità del cambiamento, senza che debba viversi il trauma istituzionale della domanda permanente di elezioni da parte delle minoranze, salvo quanto si dirà nel prossimo paragrafo, consiste nel rendere non onerose le consultazioni elettorali. In particolare, si pensa di attingere al principio di doverosa lealtà delle persone verso lo Stato, per chiedere loro di essere la forza che, a titolo gratuito, garantirà il servizio necessario allo svolgimento dei comizi elettorali. Diventerà un sacro dovere. ( Segue )

Alessandro Diotallevi

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