Dunque le luci della ribalta sulle celebrazioni per il Centenario dell’ ‘Appello ai Liberi e Forti’ si sono ormai spente, ma non si intravede traccia della polvere che copre nel cammino veloce delle vicende politiche le rimembranze, le celebrazioni e soprattutto i centenari. Tutt’altro! L’avvenimento ha suscitato vastissima risonanza e su quello che è successo cento anni fa e sui suoi riflessi ancora oggi vivissimi, si è aperto un confronto ed un dibattito stringente, cui non possiamo e dobbiamo sottrarci.

Dico subito il mio pensiero guardando alle riflessioni di questi ultime settimane.

La ricorrenza ha suscitato tanta eco e tanto interesse in tutto il mondo cattolico e non solo perché ha riportato alla ribalta sebbene in modo inconscio quasi subliminale, il problema non sopito, la ferita non rimarginata ed ancora sanguinante: la questione del partito “dei cattolici” oggi in Italia ed i Europa.

Di un partito cioè di forte ispirazione cristiana, quale soggetto capace di far uscire la società ed il paese intero, dalla crisi drammatica in cui sono precipitati. Esattamente come fu per il Partito Popolare e per l’avventura umana a politica di quei pochi coraggiosi ‘liberi e forti’, che sottoscrissero quell’Appello. Troppe le assonanze, le similitudini, le inquietudini e le coincidenze tra quel tempo ed il nostro.

Di qui la domanda percepibile in controluce, ma mai esplicitata, in tutti gli articoli e le commemorazioni che mi è capitato di leggere o ascoltare: forse dobbiamo ripercorrere la stessa strada e rivivere anche noi oggi l’avventura che allora visse quell’eroico drappello che si riunì attorno al sacerdote di Caltagirone? Insomma, il senso ultimo del nostro impegno deve forse andare verso il risorgere di un forte soggetto pienamente inserito nell’alveo e nella storia del cattolicesimo politico, con una sua forte e specifica proposta politica?

Provo a dare una risposta usando lo stesso metodo appreso dagli psicologi forensi: riportare alla luce e rendere comprensibili i moti d’anima ultimi e non compresi perché sub liminali che hanno mosso il colpevole a prendere il coltello, nel nostro caso molto più innocentemente la penna, per celebrare in un modo nell’altro l’importante ricorrenza.

Prendo le mosse da Stefano Fontana dalla domanda cruciale che egli si pone nel suo articolo apparso sulla Bussola Quotidiana del giorno 19 Gennaio e: la chiamata a raccolta dei cattolici contenuta in quell’Appello fu una vittoria o una sconfitta? Domanda di rilevo storico, ma tragicamente attuale.

La risposta è certa! Fu una vittoria al di là del drammatico epilogo dello scioglimento forzato del Partito Popolare e del fatto dolorosissimo che fu proprio la Chiesa a scegliere e decretare la sconfitta. Quella Chiesa che con Leone XIII e la Rerum Novarum aveva mosso ed ispirato Luigi Sturzo e la sua audace e coraggioso iniziativa, fu la stessa che optò per ‘l’uomo della Provvidenza’ e dunque per il capo girato dall’altra parte quale prezzo da pagare per la chiusura della ‘Questione Romana’. Fu una vittoria perché vittoria in sé fu il saper far nascere un partito di ispirazione cristiana che diede razionalità e senso politico ad un insieme confuso ed informe che attendeva solo la mano di un politico geniale ed innovativo per prendere forma e sostanza.

Ma fu anche una vittoria, perché fu proprio allora nel freddo e nell’amarezza della solitudine, che la riflessione dell’esule offrì alla storia cattolicesimo politico due fondamentali ed attualissime perle preziose; perle che solo oggi però si cominciano  a comprendere : ‘Sociologia del Soprannaturale’ e ‘Chiesa e Stato’.

Alla dolorosa sorpresa di una Chiesa tutta temporale e collusa con il Fascismo, Sturzo contrappone ciò che la sua anima sacerdotale purissima e ora anche santa vede e sente: la natura soprannaturale del messaggio evangelico del quale la Chiesa è custode e testimone perenne; e dunque il suo inevitabile – direi necessario – riflettersi ed impastarsi continuamente nella società e nella politica. Contrappone un’ audace costruzione sociologica e dunque anche politica, le cui radici però sono soprannaturali. Ecco allora ed a seguire, la originale e splendida narrazione storica dell’inverarsi di quelle radici nella dimensione del rapporto tra Stato e Chiesa. Una sintesi di amplissimo respiro culturale, la cui conclusione è chiara: è la Chiesa non meno dello Stato a reggere le sorti della umanità e della sua storia, con una particolarità però, che lo Stato è retto e gestito dai laici.

Sarà il Concilio Vaticano II a dare sistemazione teologica e dogmatica alla riflessione anticipatrice di Sturzo esule e profeta dei tempi nuovi. E non è un caso che non sia sfuggita al Cardinale Bassetti questa connotazione del pensiero Sturziano nella pregevole omelia del giorno 19 nella Chiesa dei Santissimi Apostoli a Roma, quando ricordando l’anniversario dello storico Appello, ha colto il punto in una semplice frase riferita appunto a Sturzo: “egli collega l’ordine naturale a quello soprannaturale”. Non posso non riportarmi a quanto già scritto proprio qui su Convergenza Cristiana 3.0 : “La solidissima formazione tomista di Luigi Sturzo, unita alla rigorosa e fedele coerenza alla retta dottrina ed al magistero Pontificio del santo sacerdote, furono le stelle polari degli scritti, delle conferenze e delle conversazioni cui oggi bisogna riferirsi per mettere la sordina al “pensiero debole” ed al “relativismo” oggi dominante e causa dell’allegro declino dell’occidente. Proprio negli anni 30 e 40, mentre il neo kantismo e l’idealismo nelle sue varie espressioni, ponevano le loro definitive basi nella cultura e nella politica europea, fu la riflessione di giganti del pensiero quali Sturzo e Maritain a seminare gli antidoti e gli anticorpi.

Ed è da lì che oggi bisogna ripartire per illuminare correttamente con la fede la politica e le mediazioni culturali ad essa sottesa, e dunque costruire una società nella quale la storia della salvezza coincida e si intrecci chiaramente con la storia mondana.”

Non si può capire Sturzo tornato dall’esilio e non iscritto alla Democrazia Cristiana, se non inquadrandolo in questa amplissima dimensione culturale ma anche religiosa; la dimensione spirituale, religiosa e culturale di un sacerdote Santo, sempre e comunque fedele alla Chiesa, e dunque vincitore, se non si mette sull’altro piatto della bilancia le due perle preziose uscite dalla penna delle sue sconfitto, cioè il suo pensiero forte.

Non pertinente ed obsoleto invece il giudizio di Gramsci sul Popolarismo riportato da Fontana: il Popolarismo come “emancipazione delle masse cattoliche dal loro mondo religioso per consegnarle quale manovalanza di massa prima alla secolarizzazione e poi alla rivoluzione comunista”. Giudizio tragicamente obsoleto considerando la fine che ha fatto la rivoluzione comunista. Ma non meno fuorviante si manifesta anche l’altro giudizio sempre sugli eredi del Popolarismo e dell’ ‘Appello ai liberi e Forti’,  dato molti anni dopo dai fondatori della “Lega Democratica” anche questo ripreso dall’articolo di Fontana.

Già allora, nei dibattiti talvolta aspri, con i dirigenti di quel movimento, era parsa evidente la perdita della forte connotazione etica che aveva caratterizzato l’azione e la testimonianza degli eredi dei sottoscrittori di quell’Appello, ma era parso altrettanto evidente, perlomeno ai più attenti e lungimiranti, come la fine dell’esperienza storica del cattolicesimo politico non avrebbe certo moralizzato la vita pubblica italiana. Tutt’altro!  Sarebbe stata piuttosto foriera di disastri peggiori non certo frenati o compensati dalla ‘Lega Democratica’, presto scomparsa dall’orizzonte politico italiano. L’era berlusconiana e i disastri della diaspora ne sono stati una triste conferma.

La verità è che il cattolicesimo politico come giustamente scritto da Sturzo nelle due perle che ci ha lasciato, ha una forza espansiva ed autogenerante ineliminabile, perché ancorato ad una dimensione e ad una prospettiva soprannaturale e perciò perenne.

La cosa sorprendente e non compresa è come da questa visione filosoficamente e teologicamente altissima dell’impegno politico dei cattolici di Sturzo facesse poi derivare un iniziativa politica concretissima; un agire politico assai incisivo fondato e derivato dalla aggregazione di classi sociali, aggregazione che è insieme origine e causa generatrice di autonomia e dunque di radicale riforma della concezione e dell’idea stessa di Stato Comunità e del Partito come mezzo ineliminabile ed essenziale per costruire questo nuovo modello di Stato Comunità.

Giova allora soffermarsi seppur brevemente su un altro articolo meritevole di attenzione e apparso sulla “Civiltà Cattolica” del giorno 3 Gennaio a firma di padre Spadaro. Articolo che sembrerebbe andare nella medesima direzione dell’ ‘Appello ai Liberi e Forti’ stando perlomeno al titolo accattivante: sette parole per tornare ad essere popolari. Dico sembrerebbe perché alla fin fine le sette parole importanti che muovono sentimenti importanti e progetti importanti, per invocare discontinuità e tracciare una linea nuova, rimangono parole. Belle parole certo, perché l’evocazione di sentimenti e di buone intenzioni suscitate dalle belle parole è qualcosa di molto lodevole. Ma il progetto ed il disegno politico hanno la necessità concreta di un mezzo e di uno strumento operativo necessario sia storicamente sia logicamente per raggiungere il fine che i buoni sentimenti evocano e di cui si desidera l’appagamento. I movimenti popolari per quanto possano essere estesi e forti, sono alla fine solo ed unicamente una realtà prepolitica. Momenti inincidenti ed irrilevanti se non innervati in un progetto politico e nel necessario e concreto strumento politico attraverso il quale il progetto si fa valere realizzando le istanze ultime di cui si fa portatore; da un partito appunto. La straordinaria attualità e originalità dell’appello ai liberi e forti deriva dal fatto che il drappello di protagonisti che lo sottoscrisse, riuscì a trasformare un movimento eterogeneo e diffuso come il movimento cattolico nel corso dell’ottocento, in partito ed in partito fortemente incidente ed innovatore. Questa fu la vera novità del Popolarismo e se ad esso si vuole tornare, non ci si può sottrarre al confronto con il partito che esso seppe generare. Confondere i movimenti popolari con il Popolarismo è errore fuorviante oltre che sterile.

Anche Monsignor Forte nell’ articolo apparso sul Corriere della Sera del giorno 14 Gennaio, di cui mi piace fare menzione, non riesce ad arrivare al punto fondamentale: la necessità di un Partito fortemente ispirato ai valor cattolici oggi in Italia ed in Europa.

Certamente pertinente è la sua citazione dell’idea di Sturzo secondo la quale ” il servizio al bene comune non può realizzarsi come un avventura solitaria, ma ha bisogno della comunità”. Ma la riflessione non è sviluppata e rimane a mezz’aria, perché indeterminata nel precisare i mezzi con i quali costruire e poi raggiungere una ipotesi di bene comune. Mezzi che invece in Sturzo invece sono chiarissimi tatticamente e strategicamente: la riforma del sistema elettorale da uninominale a proporzionale ed il Partito che fatalmente ne sarebbe germinato: Il Partito Popolare Italiano.

Siamo onesti: non si può far certo colpa quella parte del Ceto Vescovile che pur esortando i cattolici all’impegno politico, rimane poi fredda rispetto all’idea di uno o più partiti fortemente identitari e solidalmente ancora la dottrina sociale della Chiesa, cioè di valori cattolici.

L’amarezza più che la delusione per quanto successo prima e dopo il ‘93 e per la fine dolorosa della esperienza della Democrazia Cristiana, spiega e giustifica la freddezza.

Ma esiste una spiegazione ben più profonda e da non dimenticare mai. Non è compito dei Vescovi elaborare e delineare un progetto politico definendo i mezzi e gli strumenti per realizzarlo. Questo è compito dei laici, i quali, come dimostra l’esperienza di Convergenza Cristiana 3.0, non si sottraggono. Allora si potrebbe essere indotti ad opinare che ha ragione Angelo Panebianco quando nel pregevole articolo apparso sul Corriere della Sera del giorno 20 Gennaio attribuisce ai difetti della scuola piuttosto che non alla secolarizzazione la mancata nascita di una classe dirigente e di una classe dirigente cattolica.

Credo che la situazione sia più complessa e profonda. Bisogna allora tornare al punto di partenza ed alle spinte, ai fermenti, ai movimenti che si sono accesi ed intrecciati nelle celebrazioni del Centenario dell’Appello ai Liberi e Forti.

Quà e là si è ripreso il tema un po’ consunto del movimento politico dei cattolici come fiume carsico che scompare e poi ricompare più a valle. Non so se il fiume carsico è oggi riemerso, ma se lo fosse è certo che gli anni della divisione e della diaspora hanno inquinato e non poco le sue acque, le quali invece sono abbondanti e ricche, ma vanno depurate e di nuovo rese potabili ed idonee a fertilizzare la terra con una coraggiosa rilettura dei principi della Dottrina Sociale della Chiesa, declinati alla luce delle esigenze dell’oggi e soprattutto del domani. Declinati in una nuova e più ampia visione del bene comune da costruire e da raggiungere.

Ed il punto è proprio questo.

Vedo la storia come un grande fiume amazzonico che si snoda nella giungla in grandi anse ben visibili dall’aereo, ma non da chi naviga su di esso. In questi tempi il fiume della storia sta percorrendo un ansa a gomito ed il suo corso sembra tornare indietro. E così i naviganti che lo percorrono con la loro zattera – come i vecchi e coraggiosi esploratori spagnoli – vedono il sole non più tramontare davanti a loro ma alle loro spalle, e sono presi da timore e da incertezza. Dove li sta portando la corrente del grande fiume?  Occorre qualcuno che spieghi loro con chiarezza che presto ci sarà un’altra ansa, anche essa a gomito, e che il sole presto tornerà a tramontare di fronte a loro e non alle loro spalle. Occorre qualcuno che spieghi loro che ogni fiume della storia va verso il mare e che questo mare è Dio. Sturzo lo ha fatto e lo ha fatto egregiamente. Ora i naviganti non riescono a togliere lo sguardo dai grandi maestri e padri fondatori, e naturalmente fanno bene. La giungla è sempre eguale qualunque sia l’angolazione dell’ansa del fiume. Ma occorre però anche capire che il nuovo che avanza e che è tanto diverso dal vecchio già vissuto, è una prospettiva ottica diversa della realtà che è stata ma che è, la quale ha un unico denominatore comune: la grande tradizione del cattolicesimo politico italiano, quella cui si riferisce ed a cui rimanda opportunamente il Cardinal Bassetti. Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto si rifarà. Qui sta la grandezza di Luigi Sturzo e di quell’Appello che il dibattito di questi giorni in modo inconscio e subliminale ha evidenziato. La società italiana, ma anche quella europea, vuole, – esige direi – continuità fedele e coerente, ma vuole ed esige anche progetti politici coraggiosi e lungimiranti capaci di confrontarsi con la novità bruciante di un mondo globalizzato e totalmente diverso da quello di cento anni fa. Un diverso e radicalmente innovativo progetto politico, ma innervato in un partito, un partito conforme ai principi cattolici, aperto a tutti coloro che ne condividano i fini ed i valori ispiratori. Un partito che non sia una “ Chiesuola” per usare un termine sturziano tanto originale e pregnante. Non un gruppuscolo della “Federazione Piana” che ha giurato fedeltà a Pio IX e che sogna il ritorno del Papa Re e del “ baiocco”.  In tempi di apostasia generalizzata “cattolico” significa progetto sociale, politico, antropologico totalmente nuovo ed originale, ma saldamente inquadrato nella Dottrina Sociale della Chiesa ed ancorato agli altissimi e splendidi ideali del cattolicesimo politico e sociale, declinato alla luce del nuovo che emerge ed avanza; declinato avendo come orizzonte un quadro politico, storico, culturale, sociale ed economico mutato e girato a 180 gradi rispetto alla prima Repubblica, quella della D.C., ma anche alla seconda Repubblica quella di Berlusconi, della Diaspora e dei cattolici della Margherita, ma per vero anche a quella della terza, la Repubblica gialloverde appena nata: quella del blocco clerico moderato e dell’ottimismo della volontà e dell’idiozia della ragione.

Il cattolicesimo politico non è lievito insipido perso nella massa, ma lampada posta sul moggio della storia. Chi alla fine si rassegna ad accettare la sua irrilevanza ed inincidenza, non si disperi se poi non riesce a comprendere dove si va con la sgangherata zattera portata dalla corrente della storia, perché ora il sole tramonta alle  spalle. Dunque “ Tutti Insieme” come suggerito saggiamente dal Cardinal Bassetti ma guardando avanti, sapendo intrecciare immanenza e trascendenza e non nella irrilevanza spiritualistica ed alla fine nel nulla neo temporale. In una parola per tornare ad essere “popolari” secondo l’insegnamento di Luigi Sturzo.

Emilio Persichetti

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