Anche in occasione dell’anniversario della nascita di don Luigi Sturzo sono giunti i commenti e le valutazioni sull’opera politica del fondatore del Partito Popolare.

Inevitabile è stato il rinnovo del generale rilievo sulla grande innovazione portata da Sturzo alla presenza pubblica dei cattolici italiani. Finalmente, essi furono in grado di superare la loro pregiudiziale contro lo Stato nazionale, e quindi la ” Questione romana”. Con ciò accadendo, si verificò qualcosa da considerarsi persino più importante: si mise fine alla parola fine all’ostilità preconcetta contro il mondo moderno e ciò che esso era andato evolvendo sul piano politico ed istituzionale.

Certo, non fu cosa facile. Da un lato, perché forti resistevano le opposizioni interne alla Chiesa e di quel mondo cattolico ancora fermo su posizioni reazionarie. Non è un caso se Sturzo parlava del conservatorismo clericale come del principale avversario del sentimento espresso dal popolarismo. Dall’altro, i cattolici entravano nell’agone politico come se fossero dei vasi di coccio stretti tra i due temibili concorrenti, liberalismo e socialismo. Tra di loro rivali, ma al tempo stesso accomunati nell’ostilità contro il pensiero cattolico e il peso che esso, comunque, aveva tra la pubblica opinione.

In aiuto del prete siciliano vennero però delle sue proprie risorse intellettuali, che si facevano forti dell’elaborazione ideale proveniente dal pensiero di Rosmini. Poi in qualche misura irrobustito dal contributo apportato, dopo il 1870,  dal nascente popolarismo e dall’impegno sociale e sindacale dei cattolici tedeschi, francesi e belgi, vieppiù destinati a consolidarsi dopo  la promulgazione della Rerum Novarum di Leone XIII.

Queste risorse sturziane erano rappresentate dalla sua forte capacità di collegare una visione ideale ad un altrettanto  consolidata analisi sociologica e, quindi, ad identificare una congiunzione possibile tra le masse rurali e quelle borghesie cittadine affatto intenzionate ad omologarsi né con la visione liberale né, tanto meno, con quella dei socialdemocratici.

La fine dell’Opera dei Congressi e il fallimento dell’esperienza della Democrazia cristiana di Romolo Murri portarono don Sturzo a concepire l’idea di un partito che fosse laico e non ideologico e, dunque, organizzazione politica che sul programma e sulle cose concrete  riuscisse a presentarsi con una posizione di coerente autonomia. Capace cioè, in quella fase tanto particolare in cui era piombata l’Italia dopo la Prima guerra mondiale, a fare i cattolici pienamente partecipi della vita democratica, ma con una loro specifica determinazione.

Poi, il Fascismo mutò troppo velocemente e completamente il quadro politico istituzionale affinché fosse possibile ai popolari assumere quella dimensione e quel rilievo che troverà nella propria disponibilità e possibilità la Dc di Alcide De Gasperi. Il quale, anch’egli, fu convinto della validità dell’idea che i cattolici democratici potessero, e dovessero, far valere la propria specifica determinazione in un quadro politico trasformato, ma non completamente stravolto rispetto a quello di vent’anni prima.

Dunque, Sturzo genio politico. Da collocare davvero tra i più grandi pensatori del secolo scorso e tra gli iniziatori di nuove esperienze destinate a mutare il corso della storia. E non c’è dubbio che il suo merito più importante sia stato quello di dotare il movimento dei cattolici democratici di una visione politicamente motivata. Che parte dalla scelta netta per la Libertà, concepita in binomio stretto con la democrazia, in guisa tale che l’una connessa all’altra rispondesse alle attese più profonde e complete dell’essere umano. Una Libertà, dunque, intesa persino più ampia e socialmente coerente rispetto alla prospettiva liberale e, quindi,  arricchita e consolidata dalla coniugazione con la solidarietà da sviluppare tra persone e gruppi sociali. Il famoso interclassismo tanto criticato a lungo da socialisti e comunisti. Il quale radicato com’era nella valorizzazione della Persona, a partire dalla sua dimensione trascendentale ed etica, andava pure oltre la visione meramente economicista propria del marxismo.

Sturzo, però, comprese anche quanto fosse necessario organizzare e dare forma concreta ad una presenza politica in grado di superare l’associazionismo e la coltivazione di lodevoli iniziative locali di carattere solidale, perché esse non erano nella condizione di avviare quel processo più generale di rinnovamento che tanto serviva alla società e al popolo italiano. Il Partito popolare non avrebbe potuto esistere senza don Sturzo, ma la stella di colui che fu pure prosindaco di Caltagirone non sarebbe stata in grado di rifulgere se fosse venuto a mancare il passaggio definitivo dei cattolici italiani nel pieno del processo democratico attraverso la forma partito.

Così fanno molto pensare le omissioni emerse su questo aspetto in occasione del ricordo di Sturzo e viene da pensare se molti, a destra come a sinistra, riflettano sul fatto che nella loro azione pratica manchi una importantissima parte della lezione sturziana, cioè quella che ancora oggi l’ispirazione popolare deve incardinarsi in una posizione di autonomia sul piano del pensiero e della capacità programmatica e, dunque, esprimere una forma partito che metta insieme laicità e ispirazione cristiana.

In un contesto del tutto nuovo rispetto ai due dopoguerra del ‘900, in questa Italia che però sembra comunque uscita da un altro devastante conflitto, Insieme vuole riprendere, allora,  tutto l’insegnamento sturziano. Consapevole di quanto sia necessario viverlo e maturarlo in una realtà persino antropologicamente tanto mutata.

Spiace dirlo, ma abbiamo anche in questa occasione ascoltato troppi “sturziani” apparsi come commemoratori … a metà. Quelli che, come direbbe Papa Francesco, si barcamenano un po’ a destra e un po’ a sinistra, a seconda delle convenienze.

Giancarlo Infante

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