“Il Mediterraneo è mille cose insieme: non un paesaggio ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà ma una serie di civiltà accatastate, le une sulle altre, insomma un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi conferisce”.

Così il geniale storico francese Fernand Braudel definisce il Mediterraneo-mondo, in un libro datato ma che continua ad offrire spunti di valore assoluto per leggere la geopolitica in questo spazio.

E siccome, sempre per Braudel, ”l’economia è anche politica, cultura e società” la sua visione è sempre di grande attualità per le emergenze che oggi ci interpellano, siano esse le migrazioni che cambiano oppure le dure contese in atto tra potenze globali o regionali che ci vedono coinvolti in strategie tra loro contrapposte.

Impegnati come gli altri Paesi europei a fronteggiare l’insidioso ritorno della pandemia covid-19 e a cercare di consolidare una ripresa economica decisiva per il futuro più prossimo, non ci accorgiamo dei mutamenti che sono in atto nei flussi migratori per il quali noi rappresentiamo pur sempre la prima frontiera dell’Occidente. Né ci rendiamo conto seriamente dei freddi venti di guerra che spirano sulle coste vicine.

Le disperate correnti di migranti che approdano sulle nostre rive ci confermano che sono in atto mutamenti ineludibili non essendo più limitate agli infelici che provengono dalle coste africane, dove ai confini meridionali del Sahara sono in atto desertificazioni e devastanti guerre civili. Sulle coste joniche ormai approdano anche profughi dal Medio Oriente, in particolare da Siria e Afghanistan, dopo tragiche guerre e l’avvento di regimi oppressivi. Questo flusso è purtroppo destinato ad aumentare, come rivelano la FAO e il World Food Programme, ormai certi dell’avvento di gravi carestie.

Si riproporrà così, a breve, l’esigenza della collocazione di queste masse, ben consapevoli che senza la collaborazione di altri Paesi europei le risposte saranno molto complesse.

Le contese in atto, soggetti o complici le grandi potenze che stanno a Oriente, hanno già mutato lo scenario geopolitico del Mediterraneo.

Il contenzioso tra Turchia e Grecia sui giacimenti di idrocarburi al largo dell’isola di Cipro contrappone, tra reiterate minacce, le navi da guerra dei due Paesi peraltro entrambi appartenenti alla NATO.

I cinesi, che hanno già acquistato per contanti il porto greco del Pireo, cercano altri snodi logistici nel Mediterraneo.

La Russia è ormai stabilmente presente, e dopo l’insediamento di strutture militari in Siria è ora attiva in Libia proprio di fronte alle basi americane di Napoli e Sigonella.

La Turchia, con l’ambizione di potenza locale, garantisce militarmente il governo di Tripoli nel confronto con il regime militare della Cirenaica, a sua volta e protetto da Putin, il quale intanto fa occupare dai soliti “mercenari” le zone petrolifere fino alle frontiere con Algeria, Ciad e Nigeria.

Non è un caso che le annunciate elezioni politiche in Libia, se poi si terranno il mese prossimo, non avverranno sotto l’egida italiana o francese già chiamate in passato ad  assicurare iniziative politiche, ma piuttosto con il controllo dell’ONU come richiesto dai russi.

In questi scenari il ruolo dell’Italia è ormai diventato secondario, quello francese non trova più corrispondenza e quello dell’Unione Europea semplicemente non esiste. Eppure, dopo la fine delle colonie, la nostra attenzione è stata generosa ed aveva saputo esprimersi con le politiche attive di Mattei, le speranze di La Pira e l’attivismo di Fanfani.

Di questa vocazione, e della memoria di protagonisti naturali del mare antico, è rimasto ben poco.

Guido Puccio

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