Nel 1959, pochi mesi prima di morire, don Luigi Sturzo, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana, sul “Giornale d’Italia” rivolse un appello ai siciliani, suggerendo loro la strategia per vincere «la battaglia per oggi e per l’avvenire».

Un appello ancora molto attuale, che vale la pena di leggere ancora con estrema attenzione. La Sicilia, infatti, rimase
sempre al centro del pensiero e dell’attività del sacerdote calatino, che non smise di amare la sua terra natale e di battersi per il suo riscatto. Si interessò sempre ai problemi dei siciliani e avrebbe certamente voluto che la Sicilia diventasse un vero e proprio modello di sana ed efficiente amministrazione per tutte le altre regioni italiane, grazie alla conquistata autonomia. Anche quando volle ricevere a Roma la delegazione del Comune di Siracusa, che gli comunicava la concessione, deliberata all’unanimità il 17 dicembre del 1951, della cittadinanza onoraria della città aretusea, dimostrò di avere una dettagliata, approfondita conoscenza delle varie questioni concrete legate al futuro della nostra provincia (aveva anche studiato per due anni presso il seminario di Noto, sotto l’illuminata guida del grande vescovo Giovanni Blandini).

Nell’Appello Sturzo inizia precisando: “Non ho titolo specifico per parlare ai siciliani, tranne i miei 87 anni compiuti
e la mia attività nei più svariati campi della religione, della cultura, della politica e dell’amministrazione. Non pretendo di essere ascoltato, né seguito. Ho provato tutto nella mia vita: l’esaltazione e il disprezzo, la fiducia e l’oblio. Eppure in un momento assai tormentato per i miei conterranei, reputo doveroso non mancare all’appello, se non altro come rinnovata testimonianza di solidarietà e di affetto a quell’isola che ci rende, o dovrebbe renderci, uniti, non nell’isolamento geografico, ma in quello politico e culturale, nella speranza di bene, nelle attività di lavoro, nel progresso morale e materiale, nel desiderio, anche se ambizioso, di portare la Sicilia al più alto livello fra le regioni italiane e contribuire ad affermarla, quale dovrebbe essere: Perla del Mediterraneo”.

Siamo denigratori di noi stessi Sturzo sottolinea che «II Mezzogiorno può risorgere, anzi sta risorgendo, come sta risorgendo la Sicilia, pur in mezzo a errori, incomprensioni, esagerazioni. Ci vogliono uomini, tempo, organizzazione, conoscenze tecniche, mezzi adeguati, perseveranza. Gli uomini non mancano; purtroppo non pochi tra noi mancano di competenza, sono improvvisatori, diffidenti, presuntuosi, discontinui. Perché i meridionali fuori dalle loro regioni, siciliani compresi, riescono a prendere posizioni importanti, divenendo centro di iniziative notevoli, superando forti competitori, e si affermano pur in mezzo a tante difficoltà? Messi alle strette, obbligati al rischio, sanno fare molto meglio fuori del loro ambiente, nel quale il provincialismo, la limitatezza dei mezzi, la sfiducia reciproca, la critica dei fannulloni, l’oppressione dei mafiosi, l’intrigo dei profittatori rendono difficili le iniziative e contestabili i piani audaci e generosi. Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? No, siamo denigratori di noi stessi, svalutiamo il bene che invidiamo, ignoriamo quello che sanno fare gli altri, perché ci sembra un rimprovero alla nostra incapacità di volere.

«Dall’altro lato, i siciliani fin dai primi giorni presero l’aria di voler ricopiare il Parlamento e il Governo nazionali. Si attribuirono compensi pari a quelli dei deputati e dei senatori di Roma. Mostrarono una larghezza pomposa e costosa, e vennero meno alla dovuta regolarità dell’amministrazione, alla fermezza della disciplina, alla rigida responsabilità legislativa».

Don Sturzo denuncia «la crescente e opprimente partitocrazia, che dal centro alla periferia ha infettato la nazione, compresi gli enti locali e le nascenti regioni. La Sicilia ne fu sopraffatta, anche per certe tare ataviche, che persistono nelle nostre vene. Chi legge, infatti, la storia siciliana nelle sue fasi medioevali e moderne, trova la stessa piaga delle divisioni dei siciliani di fronte al potere esterno, non importa se papale o valoisiano, se aragonese o amburghese, se borbonico o savoiardo». Anche oggi l’attuale Giunta regionale, che si crede simbolo di sicilianità, subisce l’indirizzo romano. Cuore siciliano di indipendenza e di resistenza, dove ti trovi oggi?

Poi don Sturzo arriva a quello che definisce come «il punto principale di questo mio appello ai siciliani: bisogna puntare sulla formazione di tecnici, di studiosi, di personale specializzato, costino quel che costino. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per l’avvenire, sarebbe COSÌ benedetta l’autonomia da noi vecchi e dai giovani, che sarebbero i “ricercati” delle imprese industriali, agricole e commerciali nazionali ed estere. Scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano anche senza dare diplomi, al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura».

Parole che sono più che mai attuali ai nostri giorni, in cui assistiamo alla più grave e dannosa emorragia di cervelli nella storia della nostra terra. Con questo Appello don Sturzo combatte la sua ultima battaglia contro la partitocrazia, lo sperpero di denaro pubblico, la corruzione. Se le sue parole fossero State ascoltate davvero, tanti guasti non si sarebbero verificati in Sicilia, dove purtroppo in molti fecero esattamente il contrario di quello che aveva raccomandato Don Sturzo.

Salvo Sorbello

Pubblicato su Servire l’Italia.it

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