Questa pausa forzata ci sta avvicinando un po’ alla volta all’essenziale: meno contatti, ma più volontà di incontro; meno sicurezze, ma più desiderio di conoscenza; meno lavoro, ma più realizzazioni; meno riti, ma più preghiera…

Effetti che sarebbe importante non perdere per strada, ma rafforzare invece, con una scelta cosciente, finita l’emergenza.

Il Corona virus ci ha dimostrato, nessuno può più avere dubbi, che siamo un’unica razza, con uno stesso patrimonio genetico, uno stesso modo di ammalarci… Ci ha dimostrato che non ci sono barriere, né dogane che tengano. Iniziamo a sperimentare come strutture mondiali, come l’OMS, che sembravano utili solo per fornire qualche statistica, possano rivelarsi strumenti eccezionalmente importanti per conoscere, condividere e promuovere strategie comuni di sopravvivenza. Questo virus globale ci restituisce, forse una volta per tutte, la forza che potrebbe avere, se consapevolmente scelta, quell’anima cosmopolita che la nostra convivenza umana globale si merita. La sola difesa della sovranità degli stati non è più sufficiente: dobbiamo munirci di regole comuni, di un livello decisionale mondiale condiviso, volenti o nolenti, con tutte le conseguenze, sociali, culturali e politiche del caso. Chiara Lubich, lei sì cosmopolita, sosteneva che solo riconoscendo la fraternità come legame universale ispiratore potremo trovare la strada per vivere degnamente le sfide contemporanee.

Abbiamo imparato anche un’altra lezione da questa emergenza. Ricordo un interessantissimo articolo di Francesco Palermo, direttore dell’EURAC, su quale fosse il modello migliore di governo: politici, tecnici e cittadini, ognuno con il proprio ruolo, seduti attorno allo stesso tavolo a co-governare la comunità civile.

In questi giorni abbiamo sperimentato che non basta la norma: per diventare norma sociale, applicata, va condivisa nella sua formazione e nella sua attuazione, occorre che ognuno, dal suo punto di vista, faccia la sua parte, coscientemente.

Siamo all’inizio, ma la prospettiva è giusta…

Politici che ascoltano i tecnici, che si assumono in prima persona delle responsabilità, che spiegano il più possibile le decisioni, rinunciando (a volte!) alla polemica spicciola…

Tecnici coscienti della propria responsabilità a cui non si sottraggono e che, da una parte, escono dai luoghi di ricerca per mettere in comune le conoscenze, dall’altra trovano spazi di ascolto per dare tutte le possibilità di informazione.

Spunta anche un nuovo modo di fare i cittadini il più possibile informati, attivi, con la consapevolezza, percepita, che c’è un ruolo attivo da svolgere: fare la nostra parte di sacrifici e di rinunce, perché gli altri non siamo contagiati dal virus; leggere e scambiare informazioni sulla produzione legislativa che esce dal ‘palazzo’, un po’ più coscienti che le regole reggono solo se tutti le osserviamo. Cresce una nuova consapevolezza che il sistema del welfare non è un diritto acquisito, ma un bene da preservare (vedi campagne di raccolta fondi indirizzate a sostenere le nostre strutture sanitarie).

L’importante sarà non ricadere per i politici in un’irresponsabile navigazione a vista, per i tecnici in un elitario auto-esilio, per i cittadini nel sonno mortale della inazione democratica… Solo l’abitudine alla reciprocità circolare, che stiamo cominciando ad imparare oggi, ci potrà salvare.

Siamo una famiglia, stesso virus, stesso destino, ma come in ogni famiglia c’è la possibilità di vivere la ‘parentela’ come angosciosa relazione forzata o come una splendida possibilità di potenziare le risorse di ognuno con la reciprocità della diversità in dialogo.

Ciascuno di noi, scopriamo, ha una personale, insostituibile mission, un filo della convivenza da tessere: qualunque sia il proprio posto, c’è un tassello di mondo affidato a ciascuno, esclusivamente, e se manca la propria parte il cerchio non si può chiudere.

E lo splendore del disegno del mosaico non si vede…

Lucia Fronza Crepaz

Scuola di Preparazione Sociale

 

Pubblicato su L’Adige

 

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