Quando la situazione si fa difficile, i nodi vengono al pettine e, tutto sommato, se ne può pure trarre qualche indicazione che, al di là del momento dell’emergenza, finisca per risultare utile in linea generale. Non è certo il caso di dire, in questo specifico momento, che non tutto il male viene per nuocere. Sarebbe irridente a fronte di una epidemia che sta mettendo a dura prova intere popolazioni.
Ciò non toglie che, in ordine alla struttura ed al funzionamento del nostro sistema sanitario, qualche considerazione necessariamente si ponga. Non è il momento di buttarla in polemica, né di passarsi di mano in mano il cerino acceso.
Men che meno tra governo centrale e Regioni. Le istituzioni, in frangenti del genere, sono, in ogni caso, la nostra Croce Rossa. Come noto, sulla Croce Rossa non si spara.
Ovviamente, a maggior ragione, bisogna evitare che venga colpita, tra un reparto e l’altro, da fuoco amico. Se ci fossero in sospeso conti politici o di qualunque altro genere da regolare, non mancherà il momento per poterlo fare.
Il nostro sistema politico, soprattutto nel corso dell’attuale legislatura, sta ampiamente dimostrando di non lasciarsi mancare nulla da questo punto di vista.
Ora c’è in gioco una questione di ben altro tenore. Contiamo alcuni decessi, qualche centinaia di nostri concittadini che hanno contratto il virus, molti altri esposti al rischio. Eppure, soprattutto se osservata dal punto di vista clinico, la situazione non è tale da giustificare il panico. Che pure, qua e là, serpeggia e rischia di indurre comportamenti impropri, eccessivi e nocivi di per sè.
Se le istituzioni dovessero, in una fase di comprensibile stanchezza, entrare in conflitto tra loro, oltre ad aggravare il sentimento di insicurezza, perderebbero l’opportunità di riuscire, al contrario, a riallacciare un rapporto di maggior fiducia con i cittadini, dimostrando, una volta tanto, la loro attitudine ad affrontare una situazione complessa.
In fondo, noi italiani siamo, in generale, un po’ come la nostra Nazionale di calcio: possiamo buscarle con la Corea, ma quando abbiamo di fronte il Brasile è tutto un altro paio di maniche.
Insomma, ora è il momento di stare sul pezzo, di guardare all’essenziale, ristabilendo una scala di priorità e di valori che ci facciano sentire “comunità”. In definitiva, spesso, sul piano individuale, c’è chi sa accogliere la propria malattia fino a trasformarla in una opportunità.
Perchè escludere che possa essere così’ anche per una collettività che ha bisogno di disintossicarsi da quei veleni di odio che non appartengono alla sua naturale inclinazione, eppure le sono stati instillati? Si discute spesso di “moderazione” e si fatica a coglierne l’effettiva valenza che, in effetti, risulta, invece, chiara in situazioni come quella che ci sta imponendo il coronavirus.
“Moderazione” non come cifra esclusiva di un segmento del sistema – sia pure l’agognato oggetto del desiderio che molti chiamano “centro” – ma come attitudine comune, fatta propria da ognuno Ma per tornare al nostro sistema sanitario, per ora – poi ci torneremo su redigendo il programma di Politica Insieme – basti dire che la spinta eccessiva alla “devoluzione” va rimessa a tema.
La “regionalizzazione” che ha la sua ragion d’essere se concepita come condizione di radicamento territoriale dei servizi, non può diventare il piede di porco che spezza il sistema in tanti pezzi separati o addirittura in tante schegge quante sono le Regioni. Si finisce in una dialettica conflittuale che rischia di di compromettere gravemente l’obiettivo comune di una uguale opportunità di tutela della propria salute per tutti i cittadini.
Una tensione non solo tra governo centrale e Regioni, ma anche tra queste che sono piccole o grandi, più o meno dogate di strutture cliniche o di ricerca bio-medica avanzate, attrezzate tecnologicamente si’ o no, sedi oppure no di importanti facoltà mediche. E che la situazione a tal punto sia complessa e di difficile conduzione, in fondo lo dice, paradossalmente, il fatto – in sé del tutto comprensibile – che una defaillance, se davvero c’è stata, si sia manifestata nell’apparato sanitario regionale comunemente ritenuto il più avanzato, qual’è quello lombardo.
Domenico Galbiati