Ripercorrere la vicenda politica e intellettuale di un uomo che ha attraversato quasi per intero il ‘900 è il modo per ricordarne con rispetto il passaggio su questa terra e un’occasione per fare il punto sullo stato della sinistra italiana, di cui Aldo Tortorella è stato un protagonista. Farlo, tuttavia, significa nuotare contro corrente. È venuta avanti, infatti, una generazione politica ambiziosa, ma senza radici.
L’idea che la storia incominci con il proprio avvento in terra è da sempre la forza propulsiva di ogni generazione. Ma è un’improvvida un’illusione, della quale la storia reale si vendica a breve.
Un comunista “senza se e senza ma…”
Nell’intervista rilasciata nel 2015 a Matteo Giordano e a Tommaso Sasso per la Rivista “Pandora” Tortorella ha fatto un bilancio della propria storia e ha invitato a costruire nuove visioni: “Finora abbiamo dato risposte parziali e sbagliate pensando di avere già la verità, adesso tocca a voi ripensare tutto questo ed elaborare una nuova visione. Bene raccogliere le memorie dei vecchi, ma fatevi avanti”.
È stato un comunista “senza se e senza ma”. Benché nella sua intervista qualche “ma” venga a galla…
Raccontando dell’esperienza del Fronte della Gioventù con Eugenio Curiel e della Resistenza, egli confessa di non essere stato attratto da quella componente patriottica della Resistenza per la quale si trattava “solo” di liberare l’Italia dal giogo nazi-fascista. Come molti comunisti di allora, pensava alla Resistenza in termini di lotta di classe e di rivoluzione sociale. Saranno Curiel e Togliatti a convincere il giovane militante comunista della necessaria finalità nazionale della lotta di Resistenza e del carattere solo “progressivo” della democrazia, che liquidava l’idea della “dittatura del proletariato”, sebbene “la democrazia progressiva” togliattiana celasse un’intenzionale ambiguità politica e semantica. In Italia non era praticabile nessuna dittatura del proletariato, come aveva spiegato personalmente Stalin a Togliatti, in partenza da Mosca per l’Italia il 3 marzo 1943. E ciò rimase vero anche dopo il 1945, nonostante i rimbrotti ufficiali, di cui furono vittima, perché accusati di tepidezza rivoluzionaria, i rappresentanti del PCI nel corso della riunione di Szklarska Poręba, dove fu fondato il Cominform tra il 22 e il 27 settembre 1947.
Ma i convincimenti circa i nuovi orizzonti della democrazia, aggiunge Tortorella, “convivevano con il mito dell’Unione Sovietica come mondo nuovo. Negarlo sarebbe ipocrisia”.La rivolta ungherese contro i Sovietici, durata dal 23 ottobre al 10 -11 novembre 1956, provocò uno choc in Tortorella, che meditò di tornare agli studi filosofici. Era un intellettuale-funzionario, ma non si viveva come un funzionario dell’Assoluto. Tuttavia, nonostante le voci filtrate da tempo dall’URSS sui processi farsa, nonostante il Rapporto tutt’altro che segreto di Kruscev sui crimini di Stalin al XX Congresso del PCUS, né Tortorella, né Alicata, né Napolitano, né Ingrao, né Reichlin…, né tampoco i grandi vecchi della prima ora, nessuno di loro ebbe il coraggio di oltrepassare quella porta girevole, che si era messa improvvisamente a ruotare.
Uscire dalla “Chiesa” esigeva un mix di coraggio, di avventatezza e di spregio delle carriere. Vinse il marx-storicismo di Togliatti: il lato giusto della Storia era l’URSS, lo stalinismo non era tutto colpa di Stalin, la storia era andata così, non si poteva tornare indietro. Solo Antonio Giolitti e pochi altri intellettuali abbandonarono il partito. Che alle spalle stessero anche visioni filosofiche divergenti – marx-storicismo di Togliatti versus kantismo della scuola di Marburgo, punto di riferimento di Martinetti e Banfi, i maestri di Tortorella – lo fa notare lui stesso nella sua intervista. Storicismo: primato della Storia effettuale. Kantismo: primato della Ragione etica. Ma il mito sovietico fu più forte. Del resto, era stato fondativo della costituzione di una parte minoritaria del PSI in “Partito comunista d’Italia” nel 1921. Esso consisteva nel pensare il colpo di stato bolscevico del ’17, perpetrato ad opera di un gruppo di giacobini robespierristi, come la rottura irreversibile della catena capitalistica mondiale e come apertura di orizzonti di liberazione sociale e di ascesa delle classi subalterne. Su quel mito-scoglio si è infranta la sinistra italiana dal 1917 fino a ben oltre il ’56.
Ancora nella conferenza stampa televisiva del 15 dicembre 1981 Enrico Berlinguer ribadì quel giudizio positivo, pur prendendo atto degli elementi palesemente caduchi del marx-leninismo. In fuga dal “socialismo reale” Berlinguer e con lui Tortorella ed altri si rifugiarono in un improbabile “comunismo democratico”. Fu sempre il peso di quel mito a spingere il PCI post-’89 di Occhetto e successori a fantasticare di una terza via da aprire tra comunismo leninista e socialdemocrazia. E qui, in questa nebbia si è perso, alla fine, anche l’attuale PD. Per una nemesi della Storia, la terza via è finita non nella Politica, ma nella Morale: etica giudiziaria e diritti sempre nuovi.
L’aver lasciato alla DC il monopolio della “Libertas”, come lamenta Tortorella, non è stato affatto il prodotto di una svista casuale, ma l’esito di una scelta originaria, che ha visto Gramsci bollare Giacomo Matteotti come un “pellegrino del nulla” e Togliatti insultare, da Mosca, lui ben al riparo dal fascismo, il socialista riformista Filippo Turati, lui morto in esilio, come “traditore” e “fallito”. Epiteti simili saranno scagliati, coerentemente, contro Bettino Craxi a partire dagli anni ’70.
Una fondazione etica della sinistra?
Il messaggio finale di Tortorella invita a riscoprire la gramsciana “sovrastruttura”, nella quale non si agitano “questioni di classe”, ma questioni di libertà, di giustizia, di etica, di identità, di nazione, di senso. “L’idea di giustizia non nasce in natura. E nemmeno quella di ‘sinistra’, che è un dover essere”. Marx e Engels, fa notare, hanno scritto “Il Manifesto” nel 1848 perché, essendo rispettivamente un ebreo e un cristiano, “ereditano delle idee di ordine morale”.
“Una fondazione etica significa, ad esempio, che, dato il tramonto del “sole dell’avvenire”, è venuto il momento di sapere che la corrispondenza tra principi e prassi è il metro di misura”. (NdR: il liberale Max Weber la chiamerebbe “etica della responsabilità”). Prosegue Tortorella: “In effetti, qualcosa di questo ci fu nei primi socialisti, ma anche nella Resistenza e nella parte migliore dell’attivismo politico di lunghi anni di battaglia”. In realtà nei primi socialisti ci fu molto di più.
Forse Aldo Tortorella ha avuto tempo di leggere le “Direttive del Partito socialista unitario”, del quale fu segretario Giacomo Matteotti, pubblicate nel 1923 dalla “Biblioteca di propaganda del Giornale “La Giustizia” – N. 3 – a Milano, via Kramer 19, che la Fondazione Anna Kuliscioff ha ripubblicato recentemente. Il socialismo etico, democratico, liberale era già tutto lì, ma fu soffocato dalla violenza terroristica dei fascisti, dal disprezzo dei socialisti massimalisti e dall’odio ideologico dei comunisti. L’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, che Tortorella ha fondato nel 1998 insieme a Beppe Chiarante, pare essere ora arrivata anch’essa alla conclusione che la libertà, non l’eguaglianza, è il valore assoluto. Ben arrivati!
Sì, la libertà è il confine invalicabile delle battaglie per la giustizia e l’eguaglianza. Oltre il quale esse trasmutano nel loro opposto. Ecco perché la sinistra – e la destra! – sono democratiche solo se sono liberali.
Giovanni Cominelli