Il malessere della democrazia, il fatto che” non tutto funziona nella democrazia attuale” (Colin Crouch), spiega il nascere dei diversi movimenti populisti degli ultimi decenni. Questi rappresentano un campanello d’allarme che può favorire trasformazioni della politica verso forme più avanzate di democrazia. È la sfida dei nostri tempi.
Il politologo Alessandro Campi, in Trasformazioni della politica, Rubbettino 2022, ci offre una ricca panoramica dei profondi cambiamenti tecnologici, sociali, economici, istituzionali, che hanno coinvolto, inevitabilmente, i sistemi democratici. La pandemia e la guerra di aggressione russa in Ucraina sottopongono questi ultimi ad uno stress elevato. Serve pertanto un governo razionale delle trasformazioni per garantire il buon funzionamento delle democrazie. Il crescere delle “autocrazie” e delle cosiddette “democrazie illiberali” rappresenta una minaccia da non sottovalutare. Occorre una profonda riflessione teorica sul piano politico-sociale. I populismi vanno fronteggiati soprattutto riducendo le distanze tra governanti e governati insieme al malessere per il cattivo funzionamento delle democrazie.” Eliminato il populismo d’incanto (come fenomeno politico), semmai fosse possibile, i problemi di cui soffrono oggi i regimi democratici resterebbero intatti; e il malessere collettivo che ne consegue troverebbe altri modi per esprimersi. Il populismo, dunque, come campanello d’allarme per una politica- in primis quella democratica- chiamata a battere nuove strade alla luce dei processi di radicale trasformazione che si è cercato di indicare e argomentare nel testo” (p. 86).
Altro rilevante cambiamento della politica riguarda la ” metamorfosi della leadership”. Questo capitolo è fondamentale per comprendere le democrazie contemporanee. La leadership è stata sostituita dalla followership. Ciò avviene quando il leader cessa di guidare e si limita a seguire e ad assecondare gli elettori, sulla base dei sondaggi, adeguando la sua agenda politica agli umori dell’opinione pubblica. Può essere un outsider estraneo al sistema politico con l’obiettivo di cambiarlo radicalmente perché considerato corrotto o inefficiente. Ecco allora nascere partiti personali con proposte demagogiche. Sono capi di partiti largamente dipendenti dall’uso dei media. Sono leadership emozionali, impulsive, che difficilmente assicurano una relazione politica stabile e duratura. Ecco allora venir meno il leader mediatore tra valori, interessi ed aspirazioni. Nasce un capo solitario, in rapporto diretto con il popolo senza alcuna mediazione. Ciò spiega perché una volta al governo diventa difficile realizzare programmi semplificati, non sottoposti alla elaborazione di una leadership collettiva. A questo punto l’A. coglie una grave conseguenza per i Paesi democratici: “Ed è proprio sul terreno temporale che le democrazie liberali rischiano di perdere la loro partita con le democrazie illiberali o post- liberali e con i regimi autoritari che in questa fase storica stanno diventando sempre più i grandi player sulla scena politica internazionale. I leader di questi Paesi – si tratti della Cina, della Russia, dell’India o della Turchia- hanno una capacità di pianificazione delle loro scelte che ormai manca quasi del tutto ai leader delle democrazie (liberali) contemporanee, considerata anche la crescente instabilità degli elettorati, che sempre più facilmente cambiano il loro orientamento da un’elezione all’altra. Le democrazie appaiono sempre più volubili e fragili e questo accentua la fascinazione per gli uomini di potere forti e carismatici che si va diffondendo in pezzi crescenti delle opinioni pubbliche occidentali“. (p. 93-94). È ora di tornare a politici preparati attraverso una solida esperienza nei diversi livelli di governo, autorevoli e non solo rassicuranti, alla mano, giovani, belli, narcisisti. Abbiamo bisogno di democrazie più forti, con opinioni e programmi stabili, con leader dai cicli politici lunghi e non meteore.
Possiamo parlare ormai di crisi di legittimità e di funzionalità delle democrazie. Dobbiamo temere sistemi politici con leader ” prigionieri” del “popolo“, che dovrebbero guidare in un mondo sempre più complesso. Abbiamo urgente bisogno invece di leader dotati di vero carisma, capaci di ascoltare, di analizzare i processi storici e di elaborare con altri una visione per guidare il Paese in tempi difficili. Non certamente di istrioni, preoccupati solo della loro popolarità, in una preoccupante personalizzazione della politica. Si tratta di solidi politici portatori di un disegno, di un progetto politico per incidere nella Storia. Così in una Europa unita da vedere con realismo, oltre ogni retorica ma combattendo lo scetticismo che ci riporterebbe verso pericolose tensioni nazionali, fuori dal grande gioco del multilateralismo geopolitico mondiale. Le spinte populiste e sovraniste non hanno avuto successo nelle elezioni europee del 2014 e del 2019 ma solo dopo il trauma della pandemia abbiamo iniziato a vedere un volto nuovo, solidale, con Next Generation EU, con il superamento di un rigorismo contabile incapace di generare integrazione politica in Europa. Il progetto europeo, andato in crisi dopo un lungo processo espansivo dello Stato sociale, con la crisi petrolifera del 1973, quella finanziaria del 2008, con la pandemia del 2020, può rilanciarsi con una la svolta del Green New Deal e Next Generation EU.
Molto interessante la riflessione sulle trasformazioni della politica e le variazioni iconografiche dell’Italia, a partire da quella florida di Cesare Ripa del 1603. L’ Italia/donna degli ultimi anni di declino appare meno baciata da prosperità e fortuna. Tuttavia il prof. Alessandro Campi descrive uno scenario di possibile ripresa: “Si tratta di un programma politico d’azione per il futuro che può trovare ancora un valido appoggio nella rappresentazione iconografica dell’Italia /donna. La quale, nella variante turrita, stellata e utilizzata per la prima volta da Cesare Ripa, presentava già tutte le attribuzioni simbolico-ideali che, se riprese e vitalizzate, potrebbero consentire all’ Italia di rimettersi in marcia dopo un periodo di lunga stagnazione e d’immobilismo: l’unità politica nella diversità dei territori, la cultura come patrimonio condiviso e fattore identitario collettivo, il suo felice ma al tempo stesso strategico posizionamento geografico, lo spirito inventivo e fattivo dei suoi abitanti. L’ Italia di ieri, l’Italia di domani, per dimenticare e lasciarsi alle spalle quella smarrita, litigiosa e confusa di oggi“. (p. 176). Il testo, nella parte finale, è di grande utilità per comprendere le cause della mancanza di una destra liberale ed europeista in Italia. Si è passati dal moderato Berlusconi al radicale Salvini, poi alla conservatrice Meloni: gli equilibri nel centrodestra sono cambiati. La destra, tuttavia, dopo (e senza) Berlusconi, registra la persistenza di un’egemonia. L’Italia attende una evoluzione del campo moderato- conservatore verso una normale destra liberale, non solo arricchita nel profilo ideale-progettuale per vincere le elezioni ma anche capace di ben governare. Ovviamente analogo processo si auspica nel campo riformista-progressista.
In conclusione, sono in atto trasformazioni della politica, un vero cambio di paradigma, che modificano il nostro modo di agire e di vivere. Registriamo un’accelerazione della storia che cambia profondamente il mondo nel quale viviamo. Dobbiamo pertanto comprendere, con libri come questo, come cambiano le culture politiche, le forme- partito, i processi nelle democrazie liberali in crisi, i conflitti con i nuovi sovranismi ed autoritarismi. La crisi del Governo Draghi, gli spazi aperti al Centro con lo scivolamento di Forza Italia nel campo della destra sovranista, aprono nuovo orizzonti ad un nuovo soggetto politico, ispirato al popolarismo, alla Dottrina Sociale cristiana.
Silvio Minnetti